Un terzo dei votanti di sinistra dice no a modifiche alla cittadinanza
Era una domenica di sole, l’8 giugno 2025, quando le urne si sono aperte in tutta Italia per chiamare i cittadini a esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Promossi dalla Cgil e sostenuti, con sfumature diverse, da Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia Viva e Azione, i referendum avrebbero dovuto scuotere il governo Meloni e rinvigorire il centrosinistra. Ma quando i seggi si sono chiusi, alle 15 di oggi, lunedì 9 giugno, il verdetto è stato spietato: un’affluenza ferma al 30,6% ha sancito il fallimento di un’operazione politica. Il quorum, fissato al 50% più uno degli aventi diritto, è rimasto un miraggio, lasciando svanire ogni speranza di abrogare norme su lavoro e cittadinanza.
I numeri tracciano un quadro di disinteresse collettivo. Per il primo quesito, sul reintegro in caso di licenziamenti illegittimi, l’affluenza si è attestata al 30,58%. Identica percentuale per il secondo, sull’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese, e per il terzo, sulla tutela dei contratti a termine. Il quarto, sulla responsabilità per infortuni sul lavoro, ha registrato un lieve 30,59%. Anche il quinto, sulla riduzione da 10 a 5 anni della residenza necessaria per la cittadinanza italiana, si è fermato al 30,59%. Con 61.591 sezioni scrutinate quasi per intero, questi dati certificano un’astensione che ha travolto i promotori.
Sono stati superflui gli appelli del centrodestra ad andare al mare, invitando i cittadini a disertare le urne. Non sono serviti perché la gente, stanca delle narrazioni del centrosinistra, aveva già deciso di ignorare un referendum percepito come uno strumento politico per abbattere i «nemici» nelle mani di Pd, M5S e alleati. L’astensione di massa non è stata solo una risposta agli inviti del centrodestra, ma il segnale di un rifiuto più profondo: gli elettori, anche quelli tradizionalmente vicini al centrosinistra, non hanno creduto all’uso strumentale di questa consultazione
Cosa rivela un’affluenza così bassa?
Un distacco profondo, non solo tra i cittadini e la politica, ma anche tra il centrosinistra e il suo elettorato. La scarsa partecipazione segnala che nemmeno la base di Pd, M5S, Avs, Italia Viva e Azione ha creduto pienamente nelle battaglie portate avanti dai loro leader. Il quorum lontano è il sintomo di un’operazione che non ha saputo accendere gli animi, lasciando le urne deserte in gran parte del Paese.
Gli scrutini
Il colpo più duro arriva dai risultati parziali, con 43.163 sezioni su 61.591. Sul reintegro per licenziamenti illegittimi, il «sì» ha dominato con l’88,77%, contro l’11,23% di «no». Percentuali simili per gli altri quesiti sul lavoro: l’87,35% di «sì» per l’indennità nelle piccole imprese, l’88,78% per la tutela dei contratti a termine, l’87,07% per la responsabilità sugli infortuni.
Ma il quinto quesito, quello sulla cittadinanza italiana, racconta una storia diversa: solo il 64,67% ha votato «sì», mentre un sorprendente 35,33% ha scelto il «no». Se a votare sono stati principalmente elettori di centrosinistra, questo dato è un allarme: oltre un terzo di loro non crede alla battaglia sulla cittadinanza, da sempre cavallo di battaglia di Pd e alleati.
Il centrosinistra e la Cgil escono da questa prova con le ossa rotte. Non solo non sono riusciti a mobilitare gli italiani, ma hanno fallito nel compattare il loro elettorato, come dimostra il risultato sulla cittadinanza. La strada si fa più ripida per il centrosinistra. Il governo Meloni incassa una legittimazione, mentre Pd, M5S, Avs, Italia Viva, Azione e Cgil devono fare i conti con una base che non ha risposto alla chiamata. Il sogno di cambiare le leggi, per ora, resta chiuso in un cassetto, e la lezione di questo flop referendario potrebbe pesare a lungo.