In migliaia hanno voluto essere presenti all’ultimo saluto
Si sono tenuti nella Basilica di Sant’Antonio ad Afragola, i funerali di Martina Carbonaro. La giovanissima vittima di femminicidio, dopo l’autopsia eseguita nella giornata di ieri, ha potuto finalmente ricevere l’abbraccio commosso e sincero della sua comunità.
Il caldo afoso di questo pomeriggio di fine primavera non ha fermato le migliaia di persone accorse per darle l’ultimo saluto. Una folla composta, silenziosa, ferita. Una piazza gremita, incorniciata da corone di palloncini colorati. La commozione era palpabile. Molti hanno preferito restare in silenzio, lontani da microfoni e telecamere, ma tanti altri hanno voluto esprimere ancora una volta il dolore di una comunità devastata da una tragedia inaccettabile.
«Può essere una nostra amica, una sorella, una mamma, al di là dell’età» – dice una donna, venuta per partecipare alle esequie – «Sono cose che non dovrebbero accadere a nessuno, siamo sconvolti veramente. Il Signore dia la forza alla famiglia di sostenere una tragedia del genere». Il sentimento in piazza è comune, condiviso, come un mastice di tristezza, rabbia e impotenza. Tiene unita tutta Afragola. E con il passare dei minuti, la folla cresce.
Il feretro tra applausi e grida

Poco dopo le 15, il feretro di Martina Carbonaro arriva davanti alla Basilica. Gli applausi, commossi, vengono squarciati dalle grida di chi non riesce più a contenere il dolore. In tanti chiedono giustizia. In molti invocano una condanna esemplare per Alessio Tucci, il ragazzo accusato dell’omicidio. La piccola bara bianca entra in chiesa, seguita dalla famiglia, stretta nel silenzio rotto solo dagli applausi. I canti del coro accompagnano Martina fino all’altare. Sopra la bara, un omaggio floreale e la sua fotografia: un sorriso giovane, spezzato.
L’omelia di don Mimmo Battaglia
L’interno della basilica è riservato ai familiari, agli amici più stretti e alle autorità. La funzione è presieduta dall’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia. Suo il primo saluto, sua anche l’omelia, carica di commozione e responsabilità.
Le sue parole si rivolgono direttamente ai giovani: «Soprattutto per quelli che non sanno più gestire la rabbia, che confondono il controllo con l’affetto, che pensano ancora che amare significhi possedere. Che vedono la donna come qualcosa da ottenere, da tenere, da non perdere mai. Che se vengono lasciati si sentono umiliati, feriti, e trasformano il dolore in odio. Un odio che uccide».
«Oggi, davanti a Martina, dobbiamo assumerci tutti una responsabilità collettiva» – continua l’arcivescovo – «Oggi, davanti a lei, dobbiamo impegnarci affinché a tutti, piccoli e grandi, sia chiaro che l’amore non è possesso. L’amore non è controllo. L’amore non è dipendenza. L’amore vero rende liberi. L’amore vero non trattiene, non costringe, non punisce. Se amare ti fa male, non è amore. Se per amore devi annullarti, non è amore. Se per amore arrivi a fare del male, non è amore ma solo violenza. E la violenza non è mai giustificabile. Mai».
Poi si rivolge con delicatezza ai genitori di Martina: «Cara mamma Fiorenza, caro papà Marcello, lo so benissimo che queste parole, oggi, non sono consolazioni facili. Sono una promessa che ci supera, e che ci sfida. Perché il dolore per Martina è troppo grande. È un grido. Un pugno. È una domanda senza risposta. È l’abisso. Ma proprio lì, nell’abisso, Dio non si ritrae. Non vi lascia».
«Allo stesso modo di come non ha lasciato Martina, che oggi è custodita nel suo cuore, lì dove nessuna violenza potrà mai raggiungerla, e dove la felicità che desiderava nei suoi sogni di adolescente, immaginando il suo futuro, le viene donata in abbondanza dal Dio della vita. E da lì quest’oggi ci parla, da lì ci chiede non solo lacrime, ma anche verità».
«Martina è morta per un’idea malata dell’amore»
«Non solo dolore, ma coraggio. Perché il dolore di oggi ci impone di dire, senza paura, senza ambiguità, una parola netta: Martina è morta per mano della violenza. È morta per mano di un ragazzo che non ha saputo reggere un rifiuto, un limite, una libertà, togliendo il futuro non solo a Martina ma anche a se stesso! Martina è morta per un’idea malata dell’amore. Un’idea ancora troppo diffusa, troppo tollerata, troppo silenziosa».
«A te, ai tuoi genitori, ai tuoi amici, al tuo sorriso spezzato, promettiamo un’altra storia. Un mondo dove nessuna ragazza debba più aver paura di amare. Dove dire “basta” non sia una condanna, ma un diritto. Dove essere donna sia una festa, non una minaccia. Un mondo dove ogni adolescente – maschio o femmina – impari che amare è donarsi. Non possedere. Non ferire. Non uccidere. Un mondo dove la libertà non spaventi, ma educhi» – e conclude tra gli applausi – «Dove il cuore sia formato, non deformato. Dove la forza sia tenerezza, dove la vita abbia finalmente l’ultima parola, dove l’amore, quello vero, sia più forte di ogni violenza».

La voce di «don Mimmo» si rompe più volte. La commozione riempie ogni parola. E arriva forte anche all’esterno, dove la folla ascolta in silenzio. La celebrazione prosegue fino al momento in cui la bara esce dalla chiesa. Martina viene accompagnata dalle lacrime e da un lungo applauso. Le campane suonano l’ultimo saluto.
Un cielo che non vuole lasciarla andare
I palloncini colorati, portati per lei, vengono lasciati volare via, verso il cielo. Una corona di palloncini, bianca e rosa, si impiglia al crocifisso del campanile. Resta lì, sospesa. Come se questa piccola città non volesse lasciarla andare via. Come se volesse trattenerla ancora, anche solo per un istante. Ora, ad Afragola come in ogni altro angolo del Paese, resta il dovere di non dimenticare. Di educare. Di agire. Di far sì che Martina resti viva nella memoria collettiva. Sempre.