Per il ministro bisognava rifare l’intero processo
Pur premettendo di «non potere, non dovere e non volere parlare di vicende in corso», il ministro della Giustizia Carlo Nordio ieri sera, intervendo su Retequattro a Zona Bianca a proposito del delitto di Chiara Poggi a Garlasco, ha detto di trovare «irragionevole che dopo una o due sentenze di assoluzione sia intervenuta una condanna, senza rifare l’intero processo». Il riferimento è inequivocabilmente ad Alberto Stasi condannato in Appello a 16 anni per omicidio volontario. Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio non ci saranno comunque conseguenze per i magistrati che condussero la vecchia inchiesta.
«La responsabilità si può avere solo se il magistrato non conosce la legge o dimostra di non conoscere le carte. Per questo – ha sottolineato – per tutti i processi esiste nei paesi democratici un doppio o triplo grado di giurisdizione; si presume infatti che la sentenza possa essere sbagliata». «Credo che purtroppo in questo momento – ha aggiunto poi Nordio – l’opinione del cittadino nei confronti della giustizia sia abbastanza negativa. Più che colpa dei magistrati è colpa delle leggi. I magistrati amministrano con leggi imperfette che consentono di procrastinare processi all’infinito, anche quando bisognerebbe avere il coraggio di chiuderli».
Delitto di Garlasco, le indagini
Intanto, mentre si cerca ancora nei laboratori e negli archivi giudiziari nel tentativo di ritrovare l’involucro con l’intonaco grattato 18 anni fa dal muro delle scale della villetta di Garlasco e che è legato all’impronta «33» attribuita ad Andrea Sempio, le nuove indagini per far luce sull’omicidio di Chiara Poggi si concentreranno, oltre che sull’analisi di quanto sequestrato nelle scorse settimane, anche sulla ricostruzione della dinamica del delitto, attraverso la ‘lettura’ delle tracce di sangue, e sull’arma usata che mai stata individuata.
In attesa degli accertamenti genetici disposti, mediante la formula dell’incidente probatorio, dalla gip di Pavia Daniela Garlaschelli, in particolare sui due profili maschili del Dna sulle unghie di Chiara (uno è di Sempio) e sull’impronta lasciata sulla porta di casa Poggi, le attività investigative stanno anche cercando di capire con quale oggetto sia stata colpita la ragazza, andando a riesaminare le molte ferite sulla testa e sul volto.
L’arma del delitto
In tutti questi anni si è sempre pensato a un martello da muratore con una stretta superficie battente e un manico corto adatto a colpire ripetutamente, ma di recente, anche in base a due testimonianze, si è ipotizzato un attizzatoio o una pinza da camino. Un «corpo contundente», non solo mai trovato, ma anche mai identificato e su cui ora si tenterà di fare luce.
Inoltre i carabinieri, delegati dai pm pavesi guidati da Fabio Napoleone, ricostruiranno la dinamica dell’aggressione attraverso la cosiddetta «Bloodstain Pattern Analysis», ossia le analisi delle moltissime tracce ematiche che allora avevano ‘ricoperto’ la scena del crimine, pavimento, muri, telefono, divano, porte e quant’altro.
Tutto ciò per cercare di trovare riscontri alla tesi secondo cui sarebbero state più persone a commettere il delitto: Chiara venne brutalmente massacrata da numerosi colpi e il suo corpo venne gettato dalle scale che conducono al piano seminterrato della villetta.
Lì già all’epoca furono isolate impronte di cui molte inutilizzabili o esaminate ma con esiti insignificanti e che ora, con i progressi della scienza forense, si punta a dotare di una identità. Cosa che è già stata fatta con l’analisi fotografica della traccia del palmo della mano riferibile a Sempio, per l’appunto la numero «33». Sul punto è necessario un ampio approfondimento.
L’intonaco asportato
Nel tentativo di capire se sia stata lasciata dall’assassino e, dunque di trovare il sangue o Dna della vittima, è necessario però recuperare l’intonaco che era stato asportato con bisturi sterile. Si tratta di un reperto, però, che probabilmente è andato distrutto in quanto c’è una sentenza passata in giudicato, quella di condanna a 16 anni di Alberto Stasi. La sua difesa, con una consulenza che verrà depositata nei prossimi giorni, ritiene che in quel pezzo di muro «grattato» sia possibile rintracciare «materiale biologico», e quindi poter ricostruire «pezzo per pezzo» la vicenda e riscriverla con altri protagonisti.
Per questo, come ha spiegato l’avvocato Antonio De Rensis, «vorremmo fare una rivisitazione, a livello scientifico, di tutto. Anche delle impronte dei piedi», trovate all’epoca nella casa di via Pascoli, «come quella parziale del numero 36/37, che si ritiene femminile, in quanto pensiamo che con le nuove tecniche si possa arrivare a un esito». Non così è stato per l’ex Procuratore di Pavia, Mario Venditti, che ha chiesto e ottenuto per due volte l’archiviazione del fascicolo a carico di Sempio, a causa della «attestata inservibilità e infruttuosità della prova scientifica».