Dazi e tensioni: l’Ue cerca di disinnescare la bomba Trump

L’Europa sceglie la via della diplomazia (per ora)

Rispondere, negoziare, diversificare. La strategia dell’Ue di fronte alla tempesta commerciale scatenata da Donald Trump per ora non sarà quella della linea dura. E non potrebbe esserlo, perché difficilmente avrebbe i 27 a suo sostegno. L’Italia, ma anche Paesi come la Polonia, continuano a fare pressing su Palazzo Berlaymont affinché una risposta alle tariffe ci sia, ma senza provocare una escalation. Ed è una linea che sembra vedere d’accordo anche Ursula von der Leyen. Con gli Usa le porte non sono chiuse, anzi.

Primi contatti tra Bruxelles e Washington

Il commissario al Commercio Maros Sefcovic ha avviato i primi contatti con l’amministrazione Trump. Nessuno, a Bruxelles, si illude che Trump possa cambiare radicalmente idea. E il primo colloquio con il segretario di Stato al Commercio Howard Luttnick e il caponegoziatore Jamieson Greer è stato descritto come «franco»: termine che, diplomaticamente, non indica certo fumate bianche. Nel suo discorso da Samarcanda von der Leyen ha usato parole molto nette nel descrivere gli effetti globali della mossa di Trump. Ed è in quelle ore che si è deciso di rispondere in due fasi.

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Prima fase: risposta sui dazi a acciaio e alluminio

Una prima comporta una risposta europea ai dazi su alluminio e acciaio su cui ci sarebbe un accordo di massima. Il voto è previsto il 9 aprile, nella cosiddetta comitatologia, procedura interna alla Commissione che prevede la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi membri. «La nostra risposta integrerà le misure di riequilibrio dell’Ue degli Stati Uniti del mese scorso per colpire le nostre esportazioni di acciaio e alluminio per un valore di 26 miliardi di euro», ha spiegato Sefcovic.

Seconda fase: le opzioni sul tavolo e il rischio escalation

Sulla seconda fase i dubbi invece sono diversi, e le strade tante. Ognuna di queste ha un suo effetto collaterale su determinati settori economici europei. Ognuna di queste potrebbe scatenare una reazione dell’imprevedibile Trump. Una, su tutti: il cosiddetto bazooka dello strumento anti-coercizione, una sorta di golden power contro le politiche commerciali aggressivi che potrebbe essere letale per i servizi statunitensi. Su questa linea, peraltro, rischia di formarsi un fronte che va dalla Francia di Emmanuel Macron alla nuova Germania di Friedrich Mertz, fino alla Spagna di Pedro Sanchez. Un fronte di falchi, convinti che la risposta agli Americani debba essere ferma e debba servire a rilanciare un made in Europe sotterrato da decenni dedicati soprattutto all’export dei prodotti.

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Le date chiave: 7 e 9 aprile

Le date da segnare con il rosso sono due. Il 9 aprile, giorno del voto formale sui primi contro dazi europei. Ma soprattutto il 7 aprile, quando a Lussemburgo si riuniranno i ministri dei 27 con la delega del Commercio. È lì che le spaccature interne all’Ue potrebbero emergere con una certa drammaticità. «Nessuno vuole la guerra commerciale, qualora ci dovesse essere una reazione sarà piuttosto un segnale politico agli Stati Uniti per dire ‘basta’», ha sottolineato il titolare della Farnesina Antonio Tajani. Ma la guerra, di fatto, è dietro le porte. «I dazi sono dannosi e ingiustificati, siamo pronti a difendere i nostri interessi», ha detto Sefcovic ai negoziatori Usa al termine di una videocall di due ore. Alla quale – e questa potrebbe essere una buona notizia – ne dovrebbero seguire altre.

Un’Europa più forte anche sul piano geopolitico

Nel frattempo, anche da un punto di vista geopolitico, l’Ue è corsa ai ripari. Al vertice di Samarcanda con i 5 Paesi dell’Asia Centrale von der Leyen ha annunciato un piano di investimenti da 12 miliardi basato su 4 priorità: trasporti, clima, materie critiche e digitale. Di fronte ad un’ America che rischia di isolarsi la presidente della Commissione ha rilanciato l’immagine di un’Europa affidabile, pronta ad investire per permettere anche la crescita dei suoi partner. «La fiducia reciproca è più che mai importante oggi», ha scandito von der Leyen. Da Bruxelles, intanto, la Commissione sposava la linea emersa dall’Eliseo: replicare agli Usa anche nella corsa ad accaparrarsi gli investitori. «Invitiamo le imprese a investire in Europa, offriamo stabilità», ha sottolineato Palazzo Berlaymont

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