In Italia ci sono vari istituti penali minorili e tra questi spicca il carcere minorile di Nisida, situato su una piccola isola nel Golfo di Napoli che, da anni, accoglie ragazzi e ragazze che hanno commesso reati e offre loro nuove chance e opportunità affinché possano reinserirsi nella società.
Gli addetti che vi lavorano all’interno impiegano tutte le loro energie e devozione per assicurare loro stabilità e crescita personale anche se questo non sempre basta. I giovani che vengono accolti in queste strutture, spesso, non hanno una visione del futuro; nella maggior parte dei casi vengono da quartieri degradati o da situazioni familiari che li hanno in qualche modo segnati. L’obiettivo di queste strutture è proprio quello di mostrare loro realtà e strade diverse da quelle che normalmente sono abituati a vedere e a cercare di indirizzarli nel modo migliore possibile in società.
Abbiamo intervistato il Garante dei Detenuti della regione, Samuele Ciambriello, che ha offerto una visione approfondita e critica della situazione attuale, in modo particolare sull’istituto penale minorile (IPM) di Nisida.
Quali sono le principali problematiche che ha riscontrato nel carcere minorile di Nisida?
«Una delle principali problematiche che in questo periodo storico si stanno presentando all’I.P.M. di Nisida riguarda sicuramente il sovraffollamento. Nella sezione maschile sono, infatti, presenti 73 tra minori e giovanissi, un numero elevatissimo se consideriamo che la capienza originaria era di 48 unità. Inoltre, alcuni dei detenuti presentano gravi problematiche di carattere sanitario e profili trattamentali di difficile gestione. In Campania, oltre al carcere minorile di Nisida, è presente un altro istituto penale minorile ad Airola, che ospita 25 detenuti al 15 gennaio 2024. Anche questo istituto affronta problematiche simili, con detenuti giovani autori di reati gravi e spesso con problemi di tossicodipendenza e disturbi comportamentali».
Il contesto
Può descrivere la situazione attuale nel carcere minorile di Nisida?
«Attualmente, all’interno dell’Istituto di Nisida si manifesta un notevole pregiudizio delle condizioni igienico-sanitarie per gli ospiti e una considerevole pericolosità di gestione, sia da parte del personale di polizia penitenziaria che da parte di quello educativo. È indispensabile provvedere alla copertura della pianta organica, che al momento presenta un grave deficit nel ruolo maschile degli agenti penitenziari e degli assistenti di polizia penitenziaria maschile. La carenza di personale aggravata dalle condizioni strutturali inadeguate, rende il contesto estremamente complesso da gestire»
Quali misure suggerirebbe per migliorare le condizioni di vita dei ragazzi?
«Ritengo che il minore sia un soggetto immaturo e tutelato già da sé stesso, anche se commette reati gravi. La risposta del “Decreto Caivano” è emotiva e non deriva da un confronto politico, culturale e sociale adeguato. È sbagliato pensare che la repressione possa essere l’unica risposta. Occorre liberare i minori e rieducare gli adulti. Servono interventi strutturali, educativi e psicologici mirati, e una maggiore collaborazione tra le istituzioni per offrire ai ragazzi percorsi di recupero concreti».
Come viene gestita la questione della reintegrazione sociale dei ragazzi una volta scontata la pena?
«Purtroppo, il carcere costituisce un ulteriore elemento di emarginazione sociale. Chi entra in una prigione minorile rischia di non avere un futuro sociale, con un marchio indelebile che riduce la possibilità di un reale reinserimento nella società. È necessario implementare programmi di reintegrazione che coinvolgano la famiglia, la scuola e la comunità, affinché i giovani possano trovare un nuovo senso di appartenenza e opportunità di crescita».
Il picco di giovani detenuti
Quali sono le statistiche più preoccupanti?
«Al 30 aprile 2024 i detenuti presenti negli IPM erano 571, una cifra che non si raggiungeva da oltre dieci anni. In Campania, da inizio anno, decine di giovani sono stati trasferiti dalle strutture minorili nelle carceri per adulti, a causa della possibilità, indotta dal decreto Caivano, di trasferire i giovani che compromettono la sicurezza dell’istituto. I reati più allarmanti riguardano le rapine (132), seguite dalla produzione, spaccio e traffico di stupefacenti (45) e i delitti legati alle armi (38). Questi numeri indicano un aumento della criminalità minorile e una gestione sempre più complessa dei giovani detenuti».
Ci può parlare di un caso particolare che l’ha colpita e che ritiene emblematico?
«È difficile pensare a un singolo caso emblematico. Molti di questi ragazzi provengono da realtà estremamente complesse e non hanno veri modelli di riferimento se non ‘il modello del giovane camorrista’. Compiono delitti mossi dall’istinto e si ritrovano a scontare pene eccessive, che hanno come unico scopo la repressione e non la rieducazione. Un esempio che mi ha colpito è quello di un giovane di 16 anni, proveniente da un quartiere difficile di Napoli, arrestato per rapina. Durante il suo periodo di detenzione, ha manifestato gravi problemi psicologici, che sono stati trascurati per mancanza di risorse adeguate. Questo ragazzo, senza un supporto adeguato, rischia di uscire dal carcere con ancora meno possibilità di reintegrarsi positivamente nella società».
Il sistema carcerario minorile italiano, a oggi, soffre di gravi criticità e, nonostante sia fondamentale per la rieducazione e il rientrego nella società dei soggetti più fragili, è evidente quanto sia necessario, da parte delle istituzioni uno sforzo maggiore per offrire a questi ragazzi una reale possibilità di cambiamento e di costruzione di un futuro migliore. Essi rappresentano il nostro domani e affinché questo sia migliore è giusto e doveroso impegnarci al massimo per aiutarli.
© Riproduzione riservata