Vero, quasi vero, falso. La Schlein cresce alle Europee, ma si mangia gli alleati

Perché hanno paura dell’ok dell’aula al premierato? Il centrodestra non ha i numeri per evitare il referendum. Quindi…

Vero, quasi vero, falso. «Giorgia Meloni, stiamo arrivando: abbiamo ridotto la distanza e guadagnato 2 punti rispetto alle europee del 2019 e ben 5 punti sulle politiche di due anni fa». Questa la prima dichiarazione della Schlein dopo l’ufficializzazione dei risultati del voto per il rinnovo dell’Europarlamento e dell’indubbia crescita dei consensi riportati dal Pd. «Ci hanno visto arrivare, ma non sono riusciti a fermarci» ha ribattuto la premier, Meloni, consapevole, che col 29% dei consensi, Fratelli d’Italia si è confermato il primo partito e coi 2,5milioni di voti personali, lei è la premier più rappresentativa e il suo è «il governo più forte d’Europa».

Hanno ragione entrambe. Ma fra i 2 risultati c’è una differenza enorme. Mettendo a confronto Europee ‘19, politiche ‘22 ed europee ‘24 infatti Elly, a differenza di Giorgia, non può sorridere più di tanto. Anzi! A consuntivo nelle ultime politiche, ha portato a casa (causa un -3,77% alle politiche ‘22) solo un + 2,03, e in valori assoluti fra europee 2019 e quelle 2024 registra una perdita di 500mila voti; mentre la premier al termine della stessa terna di appuntamenti è cresciuta dell’11,73% che in valori assoluti significa 5 milioni di voti in più, tra il primo e il terzo, senza battute d’arresto e non toccando gli alleati che rispetto al 2022 sono cresciuti + 0,1 Lega, +1,6 FI.

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Di più, il Pd lo ha fatto passando sul corpo del M5S che tra prima e terza tappa elettorale, si ritrova in scarsella 2 milioni di voti in meno (7,86%). Gli stessi che si gloria di aver recuperato a Giorgia, ma che, in realtà, ha rubato a grillini c., trasformando, il tanto invocato «campo largo» in un «campo santo». Certo, dopo essere arrivata alla testa del Pd, grazie ai non iscritti – soprattutto: grillini – ora può davvero dirsene la segretaria, ma neanche questo può farla felice. Purtroppo, per lei, sono ritornati anche correnti e cacicchi. Di cui ora dovrà tenere conto.

La sinistra sconfitta in Europa

Ancora, quello meloniano è l’unico esecutivo del continente uscito vincente dal confronto elettorale, mentre il francese Macron, preso a pugni dalla Le Pen, ha chiamato i francesi alle urne per il 30 giugno e 7 luglio, un azzardo che potrebbe costargli caro; lo scranno del tedesco Scholz vacilla e il premier belga De Croo ha, addirittura, tolto il disturbo piangendo.

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Inoltre, il successo dell’Rn di Le Pen e Bardella, trasforma l’ondata di destra in Europa, in una vera disfatta. Il che evidenzia, con l’astensionismo crescente gli errori ideologici della transizione green ed ecologica della Commissione Ue, mettendone in discussione strategia e protervia, confermando la poca fiducia che i cittadini europei hanno verso chi li governa. E lo dimostrano con l’unica arma a propria disposizione: il voto.

Purtroppo, però, c’è sempre da fare i conti con la sinistra che considera il voto popolare un fastidio e non ha ancora imparato cosa significhi «sconfitta» e anche quando perde, pensa che debba essere lei a comandare e a scegliere chi possa entrare nella stanza dei bottoni.

Tant’è che Macron nonostante la batosta subita pretende di essere lui a dettare le regole del gioco e pur avendo deciso di sciogliere il parlamento e indire le nuove legislative per fine mese, ha detto che se anche dovesse perderle, non lascerà l’Eliseo. Non gli interessa che i sondaggi, post-azzeramento, diano Rn al 35%, le sinistre al 30, lui al 16, e il 57% dei transalpini voglia lui fuori dal palazzo.

La provocazione

Stesso discorso per il provocatorio tentativo – riuscito, perché Lega e centrodestra hanno sconsideratamente abboccato all’amo del grillino Donno e del Pd – di provare a «sporcare» il successo di Meloni al G7 di Borgo Egnazia, scatenando un’indegna rissa in Parlamento per poter (ri)ululare contro il pericolo fascista mentre alla Camera era in corso il voto per il primo «si» ai ddl su Autonomia e premierato.

Intanto prende sempre più consistenza l’iniziativa di domani – annunciata dalla Schlein dopo gli incidenti di cui appena sopra – alla quale hanno dato la propria adesione (ne avreste dubitato?) l’Anpi e Libertà e Giustizia – «contro il clima di intimidazione in Parlamento e il tentativo di forzare la mano» per l’approvazione.  Una forzatura, peraltro, inutile.

Le leggi di revisione della Costituzione

Dal momento che «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».

Ebbene è notorio che la maggioranza attuale non può contare su questo 75% di voti parlamentari, l’opposizione potrà sempre ricorrere – seguendo la su accennata procedura – al referendum. E allora sarà il popolo a decidere. Che abbiano paura proprio di questo? O temono, per caso che all’interno dei loro gruppi parlamentari ci siano eletti che non sono d’accordo con le posizioni del partito e possano votare con la maggioranza? Chissà, chi lo sa! Ma intanto continuano a fare caciara. Secondo qualche collega, «fanno così perché hanno perso le elezioni». A mio parere, però, la verità è che «hanno perso le elezioni, perché non sapendo cos’altro fare, fanno così».

 

Setaro

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