Trenta chili di cocaina in transito nel Porto di Napoli

L’accordo preso tra i reduci della Banda della Magliana e gli scissionisti dei Di Lauro

Un affare legato all’importazione di 30 chili di cocaina dalla Colombia e, contemporaneamente, un accordo stretto con la camorra per organizzare l’arrivo del carico nel porto di Napoli. È un dettaglio che emerge dalle pagine dell’ordinanza che ha colpito Marcello Colafigli.

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L’ex capo della Banda della Magliana è stato tra le 28 persone colpite da ordinanza di custodia cautelare (11 destinatarie della misura della custodia cautelare in carcere, 16 della misura degli arresti domiciliari e una dell’obbligo di firma), perché indiziate, a vario titolo, dei reati di associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, di tentata rapina in concorso, tentata estorsione in concorso, ricettazione e possesso illegale di armi, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale.

Secondo quanto emerge, Colafigli avrebbe inviato direttamente due suoi sodali all’incontro che si è svolto a Napoli. In un dialogo intercettato il 7 agosto del 2020 emerge la pianificazione per l’importazione della cocaina da Turbo, ipotizzando l’arrivo presso il porto di Napoli.

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Colafigli programmava la partenza per Napoli, disponendo che Brunetti avvertisse Riccardo Tinti, detto ‘il carrozziere’, di mantenere i contatti con i finanziatori (persone di Cerignola che vantavano ingentissime disponibilità di liquidi). Nella conversazione con Colafigli, Herion Hyseni (tra gli indagati) sottolinea che il carico sarebbe partito solamente dietro garanzia e con il pagamento del 50%. Più avanti, il 15 settembre dello stesso anno, Savino Damato, detto ‘il vecchio’, giunse presso l’abitazione di Colafigli, riferendogli dettagliatamente l’esito dell’incontro che si era tenuto a Napoli.

Il gip: chiarissimo il ruolo organizzativo di Colafigli

«Le conversazioni – scrive il gip – sono chiarissime nel delineare il ruolo organizzativo di Colafigli desunto dal suo monitoraggio su ogni aspetto dell’importazione, ricevendo il resoconto dei comportamenti degli albanesi e dell’affidabilità del contatto diretto sul porto napoletano, acquisendo informazioni sullo sviluppo dei preparativi da parte di Riccardo Tinti e di Pasquale Saracino», soprannominato in vari modi: «lo scuro, l’abbronzato, il nero».

Marcello Colafigli, in un’intercettazione, chiede a Damato se avesse parlato personalmente con «quello la zii», ovvero con l’uomo che fungeva da referente all’interno del porto di Napoli, dove far giungere il carico. «Te ci hai parlato con quello laggiù?», chiede. La conferma arriva: «E certo… gli ho dato l’ok, no?». Damato poi rassicura Colafigli: «Alla fine devi stare tranquillo […] anche se qualcuno fa gli errori, io controllo… stai tranquillo». Colafigli ribatte: «Ci sto… io sto con te, tu stai con me, punto… basta… Capito? Sono convinto».

Il clan in contrasto con i Di Lauro

Nel dialogo del 22 settembre successivo a parlare sono Savino Damato e Alessandro Brunetti. Dall’intercettazione si apprende che il contatto napoletano, pur mantenendo il riserbo sul nome della propria famiglia, fa parte di un clan in contrasto con quello dei Di Lauro.

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«Lui è napoletano?… questo che ci ha parlato?» dice Brunetti. «Eh, – risponde Damato – però lui si è spostato da Napoli… sta a Caserta perché a Napoli certe cose di questo genere non si può fare, come sta a fare lui… deve dare… deve dare spiegazioni, invece lui non, non (inc.) nessuno, è scortato …e lo porta, e lo porta… e il rispetto per la famiglia, glielo fanno fare». A quel punto cresce la curiosità dell’interlocutore: «Ma è una famiglia importante?».

«Di Lauro…voleva sapere il nome di loro…è Di Lauro, ha nominato solo… stanno… stannooo in conflitto con quelli. E noi gli abbiamo detto “se ci sono problemi possiamo andare pure a Napoli da loro… “Scusa, scusa, scusa, scusa”, queste sono le due parole che ha detto lui… si credeva che lui era Di Lauro… perché Di Lauro a lui gli aveva chiesto il lavoro, te lo ricordi no? Che ci aveva chiesto a noi… e noi gli abbiamo detto “possiamo andare pure la”, te lo ricordi questo fatto o no? Eh, ha fatto la domanda se lui era Di Lauro, dice no, quello è coso di là, stiamo… stiamo in conflitto”». «No, sono scissionisti» risponde l’altro. «E nemmeno il nome ha detto… non ha detto nemmeno il cognome della famiglia».

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