Caso Ilaria Salis, Meloni al lavoro in silenzio per evitare strumentalizzazioni

Palazzo Chigi punta ad abbassare il livello della polemica

Se si vuole riportare Ilaria Salis in Italia, è meglio evitare di usarla per fare campagna elettorale. Nel governo circola questo ragionamento davanti alla mobilitazione delle opposizioni per la 39enne attivista che resta in carcere a Budapest dopo il respingimento della richiesta dei domiciliari. Una riflessione che si estende anche alla suggestione, attribuita a Elly Schlein, di candidare la docente brianzola alle Europee. È il momento del silenzio, di abbassare il livello della polemica, è la linea condivisa fra Palazzo Chigi e Farnesina, perché è a fari spenti che si lavora in casi dai risvolti diplomatici, giudiziari e politici così intricati.

Con la speranza che nel giro di qualche settimana possa essere valutata diversamente una nuova istanza per i domiciliari in Ungheria, passaggio indispensabile per poi chiedere lo stesso regime detentivo nel Paese di origine.

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Il precedente

Nella maggioranza c’è chi ricorda il caso di Patrick Zaki. Quando tre anni fa il centrosinistra insisteva per votare alla Camera una mozione per impegnare il governo a sostenere l’istanza per conferirgli la cittadinanza italiana, l’allora presidente del Consiglio Mario Draghi era piuttosto perplesso, sostiene un esponente di peso di FdI.

Non per il merito, ma perché anche sul caso dello studente detenuto in Egitto serviva evitare di infiammare il clima. E sono poi passati altri ventiquattro mesi per arrivare alla grazia, subito dopo la condanna a tre anni. «Un risultato – rivendicava in quei giorni l’esecutivo di centrodestra – portato a casa in primis dal lavoro silenzioso di Meloni».

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L’autonomia dei giudici ungheresi

Meloni non parla in pubblico del caso Salis da un paio di mesi. L’ultima volta replicò alle accuse di inerzia sollevate da Elly Schlein: «Se è più brava di noi sicuramente saprà cosa fare…». «Anche in Ungheria c’è l’autonomia dei giudici e i governi non entrano nei processi», aveva detto pochi giorni prima, dopo aver chiesto a Viktor Orban «un trattamento di dignità, rispetto e un giusto processo» per la donna. Entrambi conservatori, i due leader hanno un rapporto consolidato, anche se l’ingresso del partito del premier ungherese nella famiglia dei Conservatori europei guidata da Meloni non è all’ordine del giorno, come ha detto lei stessa di recente. Ma questa dinamica non c’entra, assicurano i meloniani.

L’assunto, in ambienti di governo, è invece che attacchi mediatici al governo ungherese possono solo essere controproducenti: Orban, è accerchiato da partner europei che lo criticano su più fronti, non può permettersi di perdere il consenso interno. E c’è il rischio che anche a Budapest questo caso sia usato in campagna elettorale in vista delle Europee.

Quindi, finché le pressioni politiche e mediatiche saranno così evidenti è difficile – il sospetto che accompagna queste riflessioni -, sperare nell’accoglimento della richiesta di domiciliari. Aprire scontri diretti con l’Ungheria o politicizzare la vicenda sono vie che difficilmente aiutano la causa di Salis, secondo l’indicazione che arriva da più parti dell’esecutivo. Un’esortazione alle opposizioni in generale, e al Pd in particolare.

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