Il ministro Calderone: «Al tavolo sull’occupazione anche l’indotto»
Il governo ha deciso: lo Stato prenderà il controllo di Acciaierie d’Italia. Con le buone, passando per un divorzio consensuale che eviti un lungo contenzioso legale, oppure con le cattive, mettendo mano all’amministrazione straordinaria. Ma in entrambi i casi l’estromissione di Arcelor Mittal non sarà una passeggiata. C’è da garantire, come è nelle intenzioni dell’esecutivo, la continuità produttiva. Ci sono da difendere i livelli occupazionali, punto ineludibile per i sindacati che avvertono sul rischio di «disastro sociale».
Vanno contenuti i costi sociali che inevitabilmente scaturiranno da un terremoto societario. Il governo guarda già avanti e si prepara. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, si dice fiduciosa su una soluzione alternativa a Mittal confermando l’apertura di un tavolo per affrontare tutti i temi legati all’occupazione, cassa integrazione compresa, oltre che alla sicurezza. «Questo nuovo scenario – spiega Calderone – ci richiede riflessioni ulteriori». L’invito è rivolto non soltanto a sindacati e associazioni datoriali, ma anche a chi rappresenta il mondo dell’indotto. Un universo composto da autotrasportatori, aziende di manutenzioni, pulizie e servizi che temono seriamente di vedere andare in fumo i propri crediti.
Legali a lavoro
I prossimi giorni saranno decisivi per definire la natura della separazione tra Stato e Mittal. I team legali di Invitalia e del colosso indiano dell’acciaio sono al lavoro nel più assoluto riserbo. Nessun divorzio ha ricette precostituite quindi si dovrà mettere mano agli accordi e sbrogliare uno per uno tutti i possibili nodi di controversia legale. Fatto questo, forse, con un indennizzo si potrà chiudere la partita senza strascichi giudiziari.
L’altro scenario è quello di una uscita traumatica del socio privato con il ricorso del governo all’amministrazione straordinaria e al commissario, cosa che l’esecutivo può fare autonomamente visto quanto disposto dall’articolo 2 del decreto ex Ilva. In questo caso la via del contenzioso sembrerebbe inevitabile. Le parti si sono date tempo fino a mercoledì per trovare un punto di incontro.
La convocazione dei sindacati
Giovedì invece è prevista una nuova convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi e si capirà quanto accidentato sarà il percorso da seguire. Restano però le tante incertezze del futuro, che passano anche dai nuovi partner privati che lo Stato dovrà trovare insieme al capitale fresco. Intanto, nell’immediato, servono risorse: dai 320 milioni per pagare bollette e fornitori al miliardo per acquistare gli impianti Ilva in amministrazione straordinaria.
«C’è bisogno che lo Stato entri e assuma quella attività come strategica per il nostro Paese», dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che allargando lo sguardo osserva come «un Paese industriale manifatturiero, senza una seria e avanzata industria siderurgica, non abbia un futuro».
Intanto Taranto ribolle
Proseguirà a oltranza l’assemblea permanente, davanti alla portineria C dello stabilimento, degli autotrasportatori che lamentano i ritardi nei pagamenti delle fatture scadute da parte di Acciaierie d’Italia. La protesta, è stato riferito dai promotori, proseguirà almeno fino al 19 gennaio: se entro quella data non riceveranno risposte valuteranno lo sciopero generale del settore e alzeranno il livello della mobilitazione.
Si muovono anche associazioni, comitati, gruppi e rappresentanti dei lavoratori metalmeccanici che hanno convocato, martedì 16 gennaio, un’assemblea pubblica per discutere della vicenda ex Ilva e chiedere «verità e giustizia per Taranto». L’intenzione dei promotori è riportare al centro del dibattito la tutela del territorio e della salute, chiedendo al governo risorse per provvedimenti urgenti di bonifica.