Ex Ilva, il governo punta a un divorzio consensuale da Arcelor Mittal

Nel futuro di Acciaierie d’Italia non ci sarà il colosso franco-indiano

«Intervento drastico». «Cambiare equipaggio». «Invertire la rotta». La risposta del governo agli spiragli aperti da Arcelor Mittal è chiara: nel futuro dell’ex Ilva non ci sarà il colosso franco-indiano. È il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, a tenere il punto nel corso di una informativa al Senato, accusando il socio privato in Acciaierie di non aver mantenuto nessuno degli impegni presi, né sul fronte occupazionale né su quello del rilancio industriale.

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Intanto in serata, aprendo l’incontro con i sindacati di categoria a Palazzo Chigi, gli esponenti del governo hanno spiegato che si lavora per arrivare a un «divorzio consensuale» con Mittal, per evitare in lungo contenzioso legale. In particolare in queste ore sarebbero al lavoro i legali dei due soci, con l’obiettivo di arrivare a un accordo entro mercoledì.

«Inaccettabile» per il governo la discesa in minoranza di Mittal senza, però, la disponibilità a investire in proporzione alla propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato e reclamando al contempo «il privilegio» – aveva spiegato in mattinata Urso – di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione. Sullo sfondo resta lo spettro dell’amministrazione straordinaria. Quando e se, però, resta ancora da vedere.

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Su questo fronte comunque il governo ha il coltello dalla parte del manico. Può infatti, in base all’articolo 2 del decreto ex Ilva, attivare da solo la procedura. Il che significherebbe la nomina di un commissario e il probabile avvio di una lunga battaglia legale con Mittal.

I sindacati

Per i sindacati è l’opzione più cruenta e va evitata. Metterebbe in ginocchio le aziende creditrici dell’indotto e rafforzerebbe lo spauracchio della cassa integrazione, già ampiamente attivata. Le priorità che Fim, Fiom e Uilm portano sul tavolo dell’esecutivo sono la salvaguardia dei livelli occupazionali, la continuità dell’attività lavorativa e degli impianti. Un tema, quello dell’occupazione, sul quale arrivano assicurazioni di tutela da parte della ministra del Lavoro, Marina Calderone.

Si fanno sentire anche le imprese dell’indotto che chiedono di essere convocate e attuano un presidio davanti Palazzo Chigi temendo per il futuro. Qualche momento di scoramento e di tensione, con qualcuno tra i manifestanti che evoca persino il suicidio. Parla anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi che, pur senza voler attribuire colpe all’attuale governo, «per onestà intellettuale», afferma che da quattro anni si è perso tempo ma di essere contrario una nazionalizzazione «elettorale».

Lo scontro politico

L’informativa di Urso a Palazzo Madama riaccende intanto lo scontro politico in aula. Il ministro ripercorre le vicende dell’ex Ilva soffermandosi sulle decisioni assunte dai governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2. Tre le sottolineature più pungenti: la gara vinta da Mittal nel 2017 pur in presenza di un’altra cordata pubblico-privata cui partecipava Cassa Depositi e Prestiti; la posizione di forza assunta da Mittal dopo la rimozione dello scudo penale nel 2019; la firma nel 2020 di patti parasociali sbilanciati.

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Tra le opposizioni è Francesco Boccia, presidente del gruppo Pd, a chiedere al governo di scoprire le carte: «Abbiamo ascoltato da tre ministri tre posizioni diverse, con gravissime omissioni e oggi dovete chiarezza al Parlamento, al Paese e ai lavoratori». Il senatore di Italia Viva, Ivan Scalfarotto, osserva che «il ministro Urso è venuto qui un anno fa a dirci che sarebbe stato fatto un piano per la siderurgia. Questo piano non l’abbiamo visto e il ministro non ci dice cosa farà lo Stato. Siamo di fronte all’ennesimo disastro del governo Meloni».

Non manca un nuovo capitolo del duello tra gli ex ministri dello Sviluppo economico Carlo Calenda e Stefano Patuanelli. Il primo spara a zero: «I Cinquestelle hanno fatto saltare un accordo blindato e vantaggioso (4,2 miliardi) per entrare in società con Mittal in minoranza e con patti parasociali gravemente penalizzanti. Non è incompetenza è demenzialità. Il tutto con un silente Pd al seguito». Ma per Patuanelli la responsabilità principale riguarda «la scelta del contraente fatta da Calenda, ministro nel 2017, puntando su Mittal, peraltro senza aprire ai rilanci dopo la prima offerta, come previsto dal bando di gara».

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