Stampa e opposizione, nemici di chi al «pensiero unico», preferisce quello «critico»

di Mimmo Della Corte

Hanno perso le elezioni, ma pretendono di essere loro a dettare le regole del gioco. Buttafuoco alla presidenza della Biennale, non gli piace: «E’ divisivo»

Un terno a lotto. Con il successo elettorale del centrodestra e la nascita del governo Meloni, le presunte star del giornalismo politico pseudo progressista di «infangamento» video-radio, ma anche cartaceo, hanno vinto un bel terno al lotto. A un anno esatto dal voto, quel risultato sembra averli praticamente blindati in una botte di ferro – deresponsabilizzandoli per i giudizi espressi nei confronti di chicchessia, rendendoli, così, praticamente inattaccabili e «inschiodabili» dalle loro poltrone – contro rischi di querela per accuse, offese e menzogne, da parte di chi è oggetto delle loro diffamazioni.

Mi riferisco, probabilmente l’avrete già immaginato da soli, ai vari: Fazio, Gruber, Parenzo, Ranucci, Ricci, Travaglio e tantissimi altri, ma poiché ne verrebbe fuori un elenco telefonico e non ne vale la pena, mi fermo. Una citazione, però, la merita anche l’attivista egiziano, italiano per adozione interessata, Zaki, condannato il 18 luglio scorso a tre anni di carcere e graziato dal presidente al Sisi, per l’intervento di Meloni, che lui non ha sentito neanche il dovere di ringraziare e, dopo la liberazione si è rifiutato di tornare in Italia con un volo di Stato, per evitare di stringerle anche la mano. Che volete farci: «la riconoscenza è il sentimento della vigilia».

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A proposito, ma come ha fatto a laurearsi a Bologna in video collegamento e con 110 e lode, se ancora oggi, non conosce l’italiano? Miracoli dell’appartenenza? E questi, per citare solo quelli maggiormente impegnati nella «guerra» alla destra, a Meloni, al governo da lei guidato e nei confronti di chi, al «pensiero unico», preferisce quello «critico» e non frequenta la loro congrega. E che dire di quel filmato di un collega che – secondo Libero – sarebbe stato montato ad arte da un cronista Usigrai e poi girato ai giornali antigovernativi per accreditare la Tv come feudo della Meloni? Certo, tutto questo, non è una novità. Anzi!

Una storia lunga 29 anni

E’ una storia cominciata nel lontano 1994, quando il 22 novembre, Berlusconi presidente del Consiglio fu raggiunto a Napoli, durante una conferenza mondiale sulla criminalità transnazionale da un avviso di garanzia del tribunale di Milano, consegnato a mano via «Corrierone». E non è ancora finita. Anzi!

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Da quel momento è andato sempre più consolidandosi – anche per l’ormai acclarata scarsa propensione di una parte della magistratura per la riforma della giustizia, attesa da decenni dal Paese e dai cittadini, ormai in via di definizione da parte del ministro Nordio e del governo – quel fil rouge ideologico, fra le toghe rosse che la contestano e i media alleati per i quali chiunque non è schierato a sinistra è un nemico da combattere.

Non è un caso che su Berlusconi, anche da morto, la sua famiglia, l’eredità, e la Fascina, Ranucci, continui a gettare fango. Idem gli attacchi ai familiari della Meloni, e i fuorionda di Giambruno a «Striscia la notizia» – che l’hanno spinta a rompere con il padre della sua bambina – che hanno fatto pensare alla sinistra che la premier stia perdendo le staffe, facendo presagire un suo cedimento e una possibile rottura della coalizione di governo. Ma se i sogni belli finiscono all’alba, questo, è nato già morto. Purtroppo, per loro!

Apostolico, Saviano e gli altri…

E a conferma di quanto detto prima, il caso della giudice del tribunale di Catania, Apostolico, la sua decisione di disapplicare le norme del decreto Cutro e la levata di scudi di magistrati e giornal(i)oni amici a sua tutela.

Proseguendo su questa strada c’è da aspettarsi di tutto. Per rendersene conto è sufficiente «scorrere» la dichiarazione del gomorrista (nel senso di autore di «Gomorra», testo sacro della camorra) Saviano, dopo la semi-condanna (o non sarebbe meglio definirla «quasi assoluzione»?) al pagamento di mille euro per aver diffamato la Meloni, all’epoca dei fatti, leader dell’opposizione e oggi presidente del Consiglio. A parere del magistrato, avrebbe «agito per motivi di alto valore morale». Quali? A voi l’ardua sentenza.

Magari dopo aver riflettuto sulle sue affermazioni post sentenza «dimostra che la democrazia in Italia è in pericolo». Aveva ragione, Sainte Beuve sottolineando che «Le menzogne sono come i mestrui: bisogna rispettarne il ciclo». Ora nel mirino dei giornali sinistrorsi è finito Buttafuoco indicato dal ministro Sangiuliano alla presidenza della Biennale di Venezia. « E’ divisivo», sostengono. Può darsi, ma è l’uomo giusto.

Setaro

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