Immigrazione incontrollata, un biglietto senza ritorno verso il caos

De Benoist: La domanda è se il governo italiano sarà in grado di imparare da ciò che accade al di là delle Alpi

Il fallimento delle politiche immigrazioniste in Europa è ormai sotto gli occhi di tutti, ma la Francia può vantare un sicuro, non invidiabile, primato. Il caso del diciassettenne francese di origini algerine ucciso a Nanterre dalla polizia mentre forzava il posto di blocco guidando, da recidivo senza patente, un Suv preso a noleggio, ha messo ancora una volta in luce come gli astratti principi di accoglienza e integrazione, oltre a rivelarsi delle buone intenzioni, nei fatti finiscono per essere smentiti divenendo forieri di rivolte devastanti.

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La guerriglia urbana scatenatasi dopo l’uccisione del ragazzo si è estesa a macchia d’olio in diverse città francesi e si è pure trasferita in Svizzera e in Belgio, a Losanna e Bruxelles in particolare, provocando oltre un miliardo di danni.

La Francia non è nuova ad esplosioni di violenza di questo tipo, non si può dimenticare, ad esempio, la rivolta delle banlieues del 2015 provocata dalla morte di due adolescenti folgorati all’interno di una centralina elettrica dove si erano rifugiati per sfuggire alla polizia. Oggi come allora, gli analisti si sono scatenati in analisi politiche, sociologiche, economiche, culturali, religiose ed etniche.

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A sinistra prevalgono le tesi buoniste che vorrebbero scaricare le responsabilità prevalentemente sulla violenza ingiustificata delle forze dell’ordine e sulle condizioni di disagio economico a cui sono condannati gli abitanti, di origine prevalentemente magrebina, delle periferie cittadine. A destra si preferisce sottolineare le differenze culturali ed etniche che separano gli immigrati, e i loro diretti discendenti di prima, seconda e terza generazione, dal resto dei francesi.

Sicuramente, al di là dei punti di vista, ogni analisi può offrire elementi di riflessione, ma non possono essere ignorati i fatti oggettivi da valutare senza pregiudizi ideologici: marginalità sociale, stato di bisogno e fanatismo religioso, sono ingredienti pericolosi che costituiscono una miscela esplosiva.

Secondo vari istituti demoscopici, in Francia il numero di extra-europei di origine nordafricana è in costante crescita: l’Insee rileva che al 2021 erano circa 22 milioni (un terzo della popolazione francese) ad avere «un legame con l’immigrazione da tre generazioni»; mentre un sondaggio Ifop evidenzia che il 74% dei giovani dà la precedenza alla propria religione musulmana rispetto ai valori della Repubblica.

In sostanza, la società francese è spaccata e lo sarà ancor di più in futuro man mano che l’immigrazione di massa proseguirà inarrestabile e senza controllo. A tal proposito fanno sorridere le parole del ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, quando sostiene che solo il 10% dei facinorosi arrestati erano stranieri, facendo finta di ignorare che i «nuovi francesi», figli e nipoti di immigrati, non si sentono francesi a dispetto dei cantori del buonismo lacrimevole ed ipocrita.

Del resto, lo stesso Darmanin ha origini algerine, il nonno materno, infatti, è emigrato in Francia dopo l’indipendenza dell’Algeria, e non a caso il suo secondo nome è Moussa, che in arabo significa «salvato dalle acque», ma non può pensare di salvare la Francia dall’inondazione immigrazionista ficcando la testa sotto la sabbia.

La politica dello struzzo non paga, come fa notare l’ex capo dei servizi segreti, Pierre Brochand: «I nostri struzzi volevano un mondo senza confini e identità. Ci hanno trascinato sul rasoio della guerra civile». E gli struzzi, a suo avviso, sono tanti: «giudici, giornalisti, esperti, accademici, coadiuvati dall’antico coro di artisti e calciatori». In un quadro poco confortante, non mancano le preoccupazioni degli immigrati che, in qualche modo, sotto il profilo individuale, si sono integrati e non vedono di buon occhio l’aspetto ribellistico del fallimento delle politiche integrazionistiche.

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Soprattutto i giovani musulmani con passaporto francese, non si sentono francesi ed hanno nostalgia di una madre patria che non conoscono o conoscono poco e magari sotto una luce di idealizzazione. Non contribuisce a fare chiarezza l’intervento del governo algerino che, per bocca del suo ambasciatore, si dice «preoccupato per la pace e la sicurezza di cui i nostri connazionali devono beneficiare nel paese che li ospita» e si dichiara «al fianco dei membri della sua comunità nazionale nei momenti di avversità e di prova».
Come dire che i «nuovi francesi» non sono veri francesi ma appartengono innanzitutto alla comunità nazionale di origine. Ed i fatti sembrano deporre in questa direzione.

Forse sarebbe opportuno ricordarsi delle parole di alcuni capi di stato che oggi sembrano profetiche. Nel lontano 1974, il presidente algerino Boumedienne, parlando all’Assemblea dell’Onu, annunciò la conquista pacifica dell’Europa: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli».

Nel 2006, fu la volta del leader libico Gheddafi «tra una decina di anni, trasformeranno l’Europa in un continente musulmano» grazie ai 50 milioni di musulmani presenti nel continente europeo. «Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro», questo l’appello del presidente turco Erdogan ai connazionali residenti in Ue.
E l’elenco potrebbe continuare.

La lezione francese dovrebbe fare riflettere sulle politiche immigrazioniste adottate in Europa e suggerire un sano realismo, che superi la narrazione corrente, condita con buonismo peloso, che ci consiglia di avere più immigrati per porre rimedio alla supposta mancanza di lavoratori e alla crescente denatalità. Sarebbe ora di parlare di giusta retribuzione, anche nei lavori più umili, per assorbire l’enorme massa di disoccupati locali, e praticare politiche di sostegno alle famiglie, che oggettivamente hanno difficoltà a sbarcare il lunario e non possono pensare a fare figli.

L’ideologia dominante dovrebbe smettere di predicare il profitto ad ogni costo, come denuncia il filosofo Alain de Benoist, che riconosce le ragioni sociali (e non politiche) della rivolta in Francia e lamenta la perdita di identità sia dei francesi che degli immigrati. La stessa immigrazione potrebbe essere ricondotta in limiti fisiologici e riassorbibili dalle comunità nazionali, nel reciproco riconoscimento identitario, senza innescare bombe ad orologeria che prima o poi esploderanno con effetti devastanti, come ben dimostra l’esperienza francese. Quello che sta accadendo in Francia potrà avvenire anche in Italia? Alla domanda il filosofo francese risponde: «È possibile, se non probabile. La domanda è se il governo italiano sarà in grado di imparare da ciò che accade al di là delle Alpi».

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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