Giulia Tramontano, l’assassino scoperto grazie all’amante

L’appello della Procuratrice: «Non bisogna mai andare all’incontro di spiegazione»

«L’ho uccisa io». Messo ormai alle strette, Alessandro Impagnatiello, barman 30enne, ha confessato ai carabinieri e alla pm Alessia Menegazzo di aver ammazzato la compagna 29enne Giulia Tramontano, incinta al settimo mese.

Le ammissioni sono state fatte durante l’interrogatorio alla caserma di Senago quando però sulla sua colpevolezza sembravano esserci già pochi dubbi: a incastrarlo, oltre a video delle telecamere di sorveglianza, soprattutto i guanti in lattice notati dall’amante e collega di lavoro inglese nel lussuoso Armani Bamboo bar, che a verbale spiega: «ho notato fuoriuscire dallo zaino di lavoro di Alessandro…dei guanti in lattice di colore azzurro. Ho contattato la sorella di Giulia e ho scoperto che nessuno ne sapeva più niente». Perché tra Giulia e lei era nata un’amicizia: «ci siamo confidate e abbiamo convenuto che Alessandro ci avesse mentito, a entrambe e c’eravamo unite contro le sue bugie».

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La premeditazione

L’omicida ha poi commesso una lunga serie d’errori, non ultimo quello di aver fatto prima dell’omicidio delle ricerche in rete su come commettere un delitto e far sparire un cadavere. Circostanza che, insieme ad altre ha fatto scattare la premeditazione nonostante il killer abbia dichiarato di averla prima colpita e alla fine uccisa «per non farla soffrire». Alla fine è stato lui stesso a indicare agli inquirenti dove fosse il corpo della compagna per poi essere trasferito nel carcere milanese di San Vittore con le accuse di omicidio volontario aggravato, soppressione di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale.

Secondo la ricostruzione, ha prima accoltellato la compagna e poi ha cercato di bruciare il cadavere nella vasca da bagno, quindi lo ha avvolto in sacchi di plastica e teli che aveva in casa. Dall’appartamento lo ha trascinato passando anche sulle scale della palazzina fino alla sua macchina, scena ripresa dalle telecamere. Ha poi abbandonato il corpo in un’intercapedine di un box di una palazzina in via Monte Rosa, a circa mezzo chilometro da casa.

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Un tentativo goffo di allontanare i sospetti, quanto quello di dar fuoco al cadavere e ad alcuni oggetti sporchi di sangue tanto che una vicina di casa ha affermato di aver visto «una quantità ingente di cenere provenire dalla porta d’ingresso dell’appartamento dell’Impagniatello». Cenere caduta anche sulle scale del condominio fino ai box.

Una volta compiuto l’omicidio luomo ha cercato, senza riuscirci, di incontrare la collega con cui aveva la relazione ‘parallela’ dicendole che era ormai «un uomo libero» e che la compagna se n’era andata. L’incontro non si è concretizzato perché l’inglese si è spaventata.

Le indagini e le ricerche in rete

«L’analisi delle ricerche in rete ci ha consentito di comprendere le modalità con le quali l’indagato ha deciso di uccidere la compagna e di come di disfarsi del cadavere. Le modalità erano state pensate, studiate e organizzate. Per questo è stata contestata la premeditazione», ha spiegato in conferenza stampa la pm Alessia Menegazzo, titolare delle indagini dei carabinieri.

«Abbiamo di fronte non solo un assassino, ma uno che diceva e dichiarava di amare la persona che portava in grembo il figlio che stava per nascere. Il figlio che la legge ancora non riconosceva come tale quindi l’omicidio è solo della donna. L’assassino non solo ha esitato a ucciderla, ma si è accanito sul corpo tentando di disfarsene», le parole del generale Iacopo Mannucci Benincasa, comandante provinciale dei Carabinieri di Milano.

«E’ stato individuato in 72 ore nonostante i tentativi di depistaggio» nel corso di «un’indagine che è partita subito», ha aggiunto. Impagnatiello infatti ha tentato di sviare le ricerche mandando messaggi dal telefono della vittima all’amica, quando questa «era già certamente morta», ha dichiarato la pm. Messaggi che, ha spiegato l’amica di Giulia e amante di Impegniatello, erano di un tenore «completamente diverso» da quelli ricevuti solo qualche ora prima.

«La vicenda deve insegnare a noi donne che non bisogna mai andare all’incontro di spiegazione. È un momento da non vivere mai perché estremamente pericoloso», ha sottolineato la procuratrice aggiunta Letizia Mannella, responsabile del pool «Tutela fasce deboli». «Questa vicenda – ha aggiunto – rappresenta ancora una volta l’esito e la tragica conseguenza di atteggiamenti di violenza subiti da una donna per mano di un compagno».

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