Omicidio di Willy Monteiro, il processo d’Appello slitta a fine aprile

Il legale della famiglia: «Impianto accusatorio reggerà»

Slitta al prossimo 27 aprile la prima udienza del processo d’Appello per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne ucciso durante un pestaggio avvenuto a Colleferro, vicino a Roma, la sera del 6 settembre 2020. Questa mattina il presidente della prima Corte d’Assise d’Appello ha comunicato alle parti che «questa Corte è in imminente scadenza e attendiamo l’insediamento della nuova corte, con la nuova composizione, per avviare il processo» fissando l’inizio del processo al 27 aprile, quando verranno affrontate le questioni preliminari. Le difese hanno già annunciato che chiederanno la richiesta di riapertura del processo.

In primo grado i giudici della Corte d’Assise di Frosinone hanno condannato all’ergastolo i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, a 23 anni Francesco Belleggia e a 21 anni Mario Pincarelli. Assente in aula il solo Marco Bianchi detenuto nel carcere di Pescara. «Siamo convinti che l’impianto accusatorio reggerà anche nel processo di secondo grado», afferma l’avvocato Domenico Marzi, legale della famiglia di Willy. «La questione è legata alle condanne all’ergastolo: ci aspettiamo la conferma dell’affermazione della responsabilità degli imputati», conclude Marzi lasciando piazzale Clodio.

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«Ci aspettiamo una conferma della sentenza», dice dopo il rinvio l’avvocato Massimo Ferrandino, legale di parte civile per il Comune di Artena. «Willy è stato barbaramente ucciso da imputati che hanno fatto della violenza e della sopraffazione la loro ragione di vita», aggiunge lasciando il palazzo di giustizia.

Secondo i giudici di primo grado, tutti e quattro gli imputati «avevano la percezione del concreto rischio che attraverso la loro azione Willy potesse perdere la vita, e nondimeno hanno continuato a picchiarlo» si legge nelle motivazioni della sentenza dello scorso 4 luglio. «L’irruzione dei fratelli Bianchi sulla scena di una disputa sino ad allora solo verbale, e comunque in fase di spontanea risoluzione, fungeva da detonatore di una cieca furia», scrivono ancora i giudici.

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