Silicon Valley Bank, anche strategie manageriali sbagliate dietro il fallimento

Sono sfumati in 48 ore gli oltre 209 miliardi di dollari di attivo

Il fallimento della Silicon Valley bank, che oggi si vuole minimizzare, ha trascinato nel panico l’intero settore bancario mondiale, a dispetto di tutti quei ministri dell’economia, soprattutto quelli degli Stati membri, che avevano proclamato a gran voce quanto il sistema bancario dei loro Paesi fosse solido.

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Ci sono volute solo 48 ore perché la Silicon Valley Bank, la banca dei miracoli californiani, vedesse fondersi come neve al sole gli oltre 209 miliardi di dollari di attivo. Eppure niente lasciava presagire il rischio di fallimento se non il sospetto per l’impegno che stavano mettendo tutti i suoi dirigenti a connotarsi in una bolla strutturale di nuovo tipo: quella della sensibilità alle ingiustizie sociali e politiche che oggi potremmo definire come «wokismo dirigenziale».

Una bolla alla quale la SVB aveva convintamente aderito ma dalla quale poi è stata divorata. Le aperture «wokiste» non sono state il solo responsabile della bancarotta ma certamente anche le incapacità a livello manageriale se si tiene conto che, nel suo massimo splendore, la SVB aveva acquistato 129 miliardi di obbligazioni in maniera perlomeno incauta perché la riserva federale americana di li a poco veniva ad aumentare i suoi tassi di interesse per contenere l’inflazione e per la SVB fu un vero patatrac.

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Le obbligazioni si sono così deprezzate ed i clienti, in panico, hanno ritirato più di 40 miliardi di dollari nello spazio delle ventiquattr’ore prima che la FED riprendesse il controllo, garantendo la totalità dei depositi e tranquillizzando gli sportelli bancari che riscoprivano, ancora una volta, le virtù taumaturgiche dell’intervento pubblico.

Eppure i problemi sono continuati perché il sistema finanziario si è lasciato intrappolare da un provvedimento paradossale, una doppia ingiunzione, un ossimoro del tipo «consumare di più ed inquinare di meno».

Per comprendere il fallimento della SVB bisogna tornare indietro, alla crisi del 2008 allorché i banchieri centrali salvarono il sistema finanziario sanando i debiti delle banche ma non si spinsero fino ad una necessaria riforma. La Federal reserve, seguita a ruota dalla BCE, aveva aperto ai tassi allo 0% permettendo così ai più ricchi di dedicarsi alla speculazione sui fondi più convenienti è più indispensabili all’economia reale come le foot business (gli affari legati non solo al mondo del football ma dello sport in genere) o le bolle millantate dell’arte contemporanea.

Il capolavoro della SVB però è stata la svolta wokista. Il wokismo che imperava nei campus universitari ormai aveva attecchito anche in campo imprenditoriale tanto che la banca della valle del silicio, che già si contraddistingueva nei temi della diversità e dell’inclusione, distratta mentre già si stava preparando la crisi, rimaneva priva di un direttore dei rischi e, non essendo riuscita a reperire un profilo adatto per quella importante funzione, ne aveva affidato l’incarico ad un’attivista LGBT+1q che fino ad allora aveva operato solo nel ramo britannico della prevenzione dei rischi.

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Jay Ersapah, questo il nome della prescelta, raccoglieva del resto tutte le caratteristiche indispensabili: era figlia di operai, era lesbica e di colore. La poveretta passava la maggior parte del suo tempo ad organizzare giornate di visibilità delle lesbiche, settimane di sensibilizzazione alle teorie transgenere ed a promuovere giornate di orgoglio LGBT+Q. Tutte iniziative che le hanno certo valso il premio McDo dell’impiegato modello per il 2022 ma che hanno contribuito anche a farle perdere di vista i segnali che annunciavano la crisi.

Piuttosto c’è anche da dire che in questo estremo lembo della California non si canta più «mare, sole e amore» ma solo silicio e salva silicio e che i beach boys qui ormai si chiamano beach lady ed è inutile dire che non hanno più le simpatie dei conservatori americani che, scatenati ora dopo il fallimento della SVB, hanno coniato un motivetto: «diventiamo woke e falliamo». E l’esempio della banca della valle del silicio del resto gli ha dato pienamente ragione.

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