Migranti, spunta la missione di stabilizzazione europea in Africa

Intervenire sulle «cause» della migrazione e «salvare vite»

Il governo italiano cambia paradigma e punta a una soluzione ‘boots on the ground’ per arginare il problema crescente della migrazione. Roma, a quanto si apprende, vorrebbe infatti dar vita a una missione europea di stabilizzazione nei Paesi dell’Africa «particolarmente interessati dal notevole aumento del fenomeno» – senza tralasciare un possibile coinvolgimento della Nato, che d’altra parte nel Concetto Strategico approvato a Madrid considera la sponda sud come un teatro cruciale. L’idea, insomma, sembra quella di andare oltre l’ordinaria amministrazione.

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Il ministro della Difesa Guido Crosetto è convinto che i mercenari della Wagner stiano giocando un ruolo nell’aumento degli arrivi sulle coste italiane e pone dunque un tema di sicurezza nazionale. Che diventa giocoforza europea. Sul punto però Bruxelles è scettica. Il vicepresidente della Commissione Europea Margaritis Schinas, che ha presentato a Strasburgo le ultime misure dell’esecutivo blustellato su rimpatri e gestione delle frontiere, ritiene che i migranti cerchino una nuova vita in Europa per scappare da «guerre e persecuzioni» o per «migliorare» le loro condizioni: la Wagner in tutto questo non è un fattore scatenante, semmai «un elemento accessorio».

Paesi e istituzioni Ue dovrebbero allora concentrarsi sul vero obiettivo: intervenire sulle «cause» della migrazione e, così facendo, «salvare vite». Ma, naturalmente, non è facile. Anche perché il dossier migrazione sta cambiando pelle – confermano alcune fonti europee di alto rango – e sta davvero abbandonando la categoria ‘affari interni’ per diventare altro.

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In discussione gli approcci tradizionali

Nella comunicazione dell’esecutivo Ue sulla strategia di gestione comune della frontiere, che gli Stati membri dovranno adottare entro i prossimi 12 mesi, lo si dice chiaro e tondo: «La nuova realtà della strumentalizzazione della migrazione a fini politici è una tendenza inedita che mette in discussione gli approcci tradizionali alla gestione delle frontiere esterne e che rischia di porre ulteriori sfide in futuro».

Non a caso la Commissione ha proposto – l’iter legislativo di approvazione è in corso – interventi per contrastare ‘attacchi ibridi’ con l’uso di migranti, come accaduto ai confini tra Polonia e Bielorussia. Detto questo, come si potrebbe intervenire per arginare i flussi all’origine? Un esempio che corre spedito in queste ore è la missione di stabilizzazione in Albania avviata nel 1997.

Il precedente in Albania

‘Alba’ fu un’operazione militare multinazionale a leadership italiana, concordata e pianificata da Roma e da altre capitali dei Paesi dell’Ue e dell’Osce (su richiesta della stessa Albania), che poi ottenne il sigillo dell’Onu. Un esempio virtuoso ma d’altri tempi. L’Unione Europea, va detto, è già presente in zone calde dell’Africa, come in Mozambico e nel Sahel (dove è stata appena lanciata l’operazione di assistenza militare al Niger, proprio a guida italiana). La Commissione, dal canto suo, ribadisce di essere impegnata in un approccio «olistico» che non può prescindere dall’adozione del nuovo Patto sulla migrazione, che avanza a rilento a causa dei veti incrociati tra gli Stati membri ed è sempre a rischio di bloccarsi del tutto.

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«Il 10% dei nostri finanziamenti esterni viene indirizzato a dossier connessi alla migrazioni, abbiamo mobilitato tutti i membri del collegio dei commissari», ha aggiunto Schinas a testimonianza dell’impegno dell’esecutivo Ue. L’alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, è andato in Algeria, potrebbe presto recarsi in Tunisia, e sempre Schinas ha annunciato una visita in Egitto. Per avanzare serve però «costruire fiducia» tra i Paesi europei e la raccomandazione sui rimpatri – fermi al 20% – serve anche a questo, chiudendo le scappatoie nel sistema ed evitando che i migranti si muovano da una naziona all’altre per sfuggire alle espulsioni. Una soluzione unica non c’è: tocca intervenire a 360 gradi, garantendo dignità e diritti. Perché è nel Dna dell’Ue.

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