Il gesto dopo la condanna definitiva di ieri per peculato
Lascia la sottosegretaria al Mur, Augusta Montaruli, dopo la condanna definitiva di ieri a un anno e sei mesi per peculato in uno dei filoni della ‘Rimborsopoli’ piemontese, il processo sull’uso improprio dei fondi dei gruppi in Consiglio regionale durante il mandato 2010-2014.
«Ha finalmente fine un processo che è durato ben undici anni, per fatti che risalgono a 13 anni fa, articolato in cinque gradi di giudizio, con un’assoluzione piena in primo grado ed un esito ieri contrario», scrive l’esponente di Fratelli d’Italia. «Mi riservo di valutare l’opportunità di un ricorso alla Corte di Giustizia Europea – fa sapere – . Ho creduto, credo e continuerò a credere nella Magistratura. D’altra parte solo chi confida nella propria innocenza e nella Giustizia si sottopone a dibattimento ovvero per così tanto tempo al giudizio in modo pubblico benché un procedimento simile, fin dall’inizio, sia stato mediaticamente esposto. Così io ho fatto».
«Mi sono difesa in un tribunale non da un tribunale e non intendo ora in ragione di quello in cui credo assumere una mia difesa fuori da questo contesto – si legge in un testo a sua firma – . Mi sono sempre assunta la responsabilità della mia condotta anche quando leggevo o ascoltavo facili ironie su spese mai contestate dalla procura e su cui quindi non ho potuto difendermi neppure nelle aule dove in modo rispettoso ho rinviato ogni valutazione sempre. Per quella stessa responsabilità in ogni caso ancor prima che questo processo avesse inizio e potesse definire un giudizio ho provveduto alla restituzione delle somme contestate per una cifra pari ad oltre il doppio rispetto a quella indicata dall’odierna sentenza», ricorda.
L’esponente di FdI: «Non ho causato alcun ammanco alle casse pubbliche»
«Ho la serenità di poter dire che non ho causato alcun ammanco alle casse pubbliche né altro danno alla pubblica amministrazione e ai cittadini – si legge in un altro passaggio – . Niente peraltro è mai stato nascosto ed infatti il processo che mi ha visto parte si fonda sostanzialmente su rendicontazioni debitamente consegnate quando ancora nessuno era ancora neppure indagato. Anche da un punto di vista istituzionale ho provveduto a partire dal 2012 ad autoescludermi da ogni candidatura per ben cinque anni ed in ogni caso fino alla prima sentenza di assoluzione. Considerata la particolarità dell’inchiesta non ho aspettato il giudizio dei magistrati per non rinviare sine die una valutazione attenta delle mie responsabilità politiche».
«Se poi anche in punta di diritto oggi mi potessi sedere formalmente dalla parte della ragione non mi sentirei altrettanto sollevata in coscienza; non so francamente come facciano coloro che non essendo esenti dalle medesime responsabilità politiche se ne sono sottratti per tutti questi anni, nascondendosi nel silenzio o addirittura oggi parlandone a sproposito. Ciò nonostante non ho mai paragonato la mia vicenda a quella di altri per cui stranamente non è mai iniziata: non dovevo essere io ugualmente alleviata ma loro sottoposti allo stesso metro di giudizio. Non sono mai scappata. Non lo farò ora», si legge ancora.
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