Sciolto nell’acido per errore, i mandanti incastrati dal pentito: «Il mio capitolo più nero»

di Redazione

L’operaio edile Giulio Giaccio venne scambiato per un certo Salvatore

Prelevato, ammazzato e sciolto nell’acido perché ritenuto l’amante «sconveniente» della sorella divorziata di un esponente di spicco del clan Polverino. E’ morto per un errore dello «specchiettista», cioè quello che indica ai sicari l’obiettivo da colpire, Giulio Giaccio, di cui si sono perse le tracce il 30 luglio del 2000.

Uno sbaglio sul quale, a distanza di oltre vent’anni, è stata fatta luce anche grazie alle dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia senza i quali la sua fine, a soli 26 anni, sarebbe rimasta un mistero. Al termine di indagini coordinate dalla Dda, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno notificato nuove accuse e due arresti ad altrettanti esponenti di spicco del clan Polverino.

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Si tratta di Salvatore Cammarota, 55 anni, detenuto all’Aquila, e di Carlo Nappi, 64 anni, in carcere a Livorno, ritenuti i mandati dell’efferato caso di «lupara bianca». Determinante è stato l’apporto del pentito Roberto Perrone, facente parte del gotha del clan, che ha parlato dell’omicidio dopo ben 11 anni definendolo «il capitolo più nero e angoscioso» della sua storia criminale.

I successivi accertamenti hanno consentito di scoprire che l’operaio edile Giulio Giaccio venne scambiato per un certo Salvatore, un uomo che stava intrattenendo una relazione – osteggiata – con la sorella di Cammarota. I killer, fingendosi poliziotti, costrinsero la vittima (che era in compagnia di un amico il quale poi avvertì i familiari) a salire a bordo della loro autovettura. Venne condotto in un luogo «sicuro» e qui interrogato. Giaccio gridò che non era lui la persona che cercavano, negò più volte di chiamarsi Salvatore, ma non venne creduto.

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Un singolo colpo di pistola uccise Giulio Giaccio

Lo stesso Perrone gli chiese se il suo nome di battesimo fosse quello. Rispose che si chiamava Giulio e gli si rivolse a chiamandolo «comandante», in quanto credeva veramente di trovarsi di fronte a un capo pattuglia della Polizia di Stato. A sparargli, un singolo colpo di pistola calibro 28 in testa, a sangue freddo, fu il killer del clan Polverino Raffaele D’Alterio, personaggio piuttosto noto alla Dda. Perrone, che era presente, non si aspettava quell’epilogo. Pensava si trattasse di un pestaggio. L’omicidio lo mandò su tutte le furie.

Il corpo della vittima venne quindi portato in una zona appartata e sciolto nell’acido. Ma prima venne mostrato a Cammarota che lo apostrofò mentre lo prendeva a calci. I resti vennero poi fatti sparire in una «senga», cioé in una fenditura del terreno nella zona di Marano di Napoli. Solo il giorno dopo si seppe che lo «specchiettista» si era sbagliato e che quel giovane non era il Salvatore che stavano cercando. Perrone si arrabbiò molto. Addirittura si disse propenso ad uccidere chi aveva commesso quell’errore costato la vita di un innocente.

Nel corso degli anni la vicenda fu oggetto di diverse indagini, tutte archiviate. Si pensò a una ritorsione tra clan rivali del quartiere Pianura e anche al rapimento finalizzato a punire rapinatori «sfacciati». Subito dopo la sua sparizione vennero ascoltati diversi parenti di Giaccio e tutti confermarono agli investigatori che lui con la camorra non c’entrava nulla.

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