Reddito di cittadinanza, una gatta da pelare per il governo Meloni

di Nuccio Carrara*

Come tagliare l’erba sotto i piedi alla demagogia dei 5S e restituire dignità a chi versa in stato di bisogno

Le ultime elezioni politiche hanno premiato in maniera evidente il partito di Giorgia Meloni che meritatamente ha assunto la carica di Presidente del Consiglio. Tuttavia, uno sguardo alle regioni meridionali mostra che nel sud dell’Italia il primo partito è risultato essere quello di Giuseppe Conte. Eppure il personaggio non è mai stato particolarmente brillante ed il suo Movimento a cinque stelle si è distinto in contorsionismi poco edificanti e senza precedenti nella storia italiana, che pure in fatto di trasformismo politico vanta una tradizione di tutto rispetto.

I dati elettorali mostrano che nell’Italia meridionale i pentastellati hanno distanziato di parecchi punti Fratelli d’Italia che con il suo 26% è risultato il primo partito italiano. Sicuramente il successo del Movimento Cinque Stelle non è attribuibile alle capacità politiche di Giuseppe Conte, figura grigia e poco carismatica, ma piuttosto all’introduzione del reddito di cittadinanza frutto della sua attività di primo ministro al tempo dell’alleanza con la Lega di Matteo Salvini.

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È fin troppo noto il divario tra il nord e il sud d’Italia in termini economici ed è facilmente comprensibile come un’altissima percentuale di disoccupati meridionali si sia trasformata in una enorme massa di percettori del reddito di cittadinanza, che alla fine si è rivelato un colpaccio per Conte ed una sorta di assicurazione sulla vita per il Movimento fondato da Giuseppe Grillo. Ne ha risentito la Lega di Matteo Salvini, che ha perso la fiducia del mondo industriale e produttivo del Nord deluso e «tradito» dalla principale forza politica di rifermento.

Gli insegnamenti di Giacinto Auriti

L’idea del reddito di cittadinanza non è nuova ed è stata più volte avanzata da economisti di varia estrazione politica e culturale, ma nel caso italiano è a Grillo che bisogna fare riferimento, che in passato si è lasciato affascinare da una grande personalità come Giacinto Auriti, i cui insegnamenti, però, sono stati compresi male ed utilizzati a fini propagandistici.

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Per lo studioso di Guardiagrele il reddito di cittadinanza avrebbe dovuto consistere in una sorta di dividendo a vantaggio di tutti i cittadini, ai quali dovrebbe appartenere la proprietà della moneta. L’euro, invece, è una moneta emessa (dal nulla) dal sistema bancario privato che se ne attribuisce la proprietà e la presta anche allo Stato, che così si vede costretto a scaricare il debito contratto sui propri cittadini spremendoli attraverso il prelievo fiscale.

Per il reddito in formato grillino, impropriamente chiamato «di cittadinanza», non è richiesto né l’obbligo di cittadinanza né quello di residenza sul suolo nazionale, ed i costi sono sostenuti ricorrendo all’indebitamento col sistema bancario. Inoltre, se il reddito, per sua stessa definizione, nasce dal lavoro o da una rendita di qualsiasi altro tipo, è quantomeno improprio confonderlo con l’assistenza pura e semplice.

Il governo Meloni, apportando alcuni correttivi, ha previsto nella sua prima legge finanziaria di mantenere la misura assistenziale per le fasce più bisognose della popolazione realmente residente in Italia e di indirizzare gli «occupabili» verso un lavoro concreto, anche attraverso corsi di formazione. Le intenzioni sono buone, ma in realtà non tutti gli «occupabili» potranno trovare un lavoro dignitoso in un momento di crisi che volge inesorabilmente alla recessione e ad un allarmante processo di deindustrializzazione che rende sempre più improbabile la tanto agognata «crescita economica».

«Più assumi, meno paghi»

Con gli attuali costi dell’energia, fortemente penalizzanti per una nazione manifatturiera come l’Italia, e con le spese aggiuntive per l’improvvida corsa agli armamenti, le sanzioni alla Russia e la guerra in Ucraina, ci dovremo preparare ad un aumento della disoccupazione anche nelle aree industriali del Nord, che non potranno assorbire più forza lavoro meridionale come nel passato. Lo slogan ad effetto «più assumi, meno paghi» difficilmente potrà convincere le imprese in un momento di forte contrazione della domanda di beni e servizi.

Oltre sei milioni di persone, con un’altissima concentrazione al sud, versano in povertà assoluta e, secondo le stime Svimez, il prossimo anno potrebbero superare anche i sette milioni, cifre ben superiori rispetto agli odierni fruitori del reddito di cittadinanza, cifre che non potranno essere ignorate non solo sotto il profilo economico, ma per la stessa tenuta del tessuto sociale.

In attesa che vengano modificati i fondamentali che reggono l’economia a trazione liberista e che venga restituita al processo democratico la piena sovranità sulla moneta e sull’economia, dando la precedenza agli esseri umani anziché alla ragionieristica bancaria, si può comunque pensare di trasformare quel che oggi viene chiamato reddito di cittadinanza in autentico reddito da lavoro.

Innanzitutto si potrebbe realizzare un contenimento della spesa pubblica facendo emergere dalla platea dei percettori del reddito quelli che non ne hanno diritto e quelli che non si volessero rendere disponibili per un lavoro presso gli enti pubblici commisurato all’importo percepito. Ciò costituirebbe anche una boccata di ossigeno soprattutto per i comuni oggi letteralmente svuotati di personale e costretti ad esternalizzare persino i lavori di manutenzione ordinaria del territorio.

Evitare le furbizie dei percettori «poltronari»

Un passo ulteriore potrebbe essere fatto a vantaggio delle imprese che volessero assumere gli «occupabili», costituendo un fondo presso l’Inps nel quale far confluire la quota del reddito di cittadinanza dovuta dallo Stato e la quota aggiuntiva dovuta dal datore di lavoro fino al concorso della retribuzione piena del lavoratore. In questo modo si eviterebbero le furbizie dei percettori «poltronari» e quelle di certe ditte che fanno la cresta sulla busta paga del lavoratore preso nella morsa del bisogno e disposto a subire un abuso anziché finire per strada senza lavoro.

Questi spunti potrebbero essere articolati meglio e più in dettaglio, ma non bisogna perdere di vista l’obiettivo di fondo, che dovrebbe essere quello di andare incontro a chi ha davvero bisogno di sopravvivere dignitosamente tagliando l’erba sotto i piedi alla demagogia dei Cinque Stelle che si nutre dell’altrui disperazione.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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