Referendum Giustizia | Cambiare una Giustizia che ormai mostra i segni della «vecchiaia» precoce

I referendum giustizia per cancellare inefficienze, distorsioni che sfociano spesso in situazioni in contrasto con i dettami di uno stato di diritto

Si avvicina a grandi passi la data del 12 giugno quando gli italiani, oltre a quelli impegnati nelle elezioni amministrative nei rispettivi centri di residenza, saranno tutti chiamati a pronunciarsi sui cinque referendum sulla giustizia proposti dalla Lega e dai Radicali nel tentativo di riformare.

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Anche se oggi, a riforma della giustizia avviata e già approvata dalla Camera dei Deputati, sarebbe più corretto dire per un verso accelerare e per l’altro completare, un assetto ordinamentale che, oggettivamente, mostra ormai i segni di una «vecchiaia» che produce inefficienza, distorsioni del sistema di amministrazione della giustizia ed anomalie che sfociano spesso in situazioni che sono in contrasto con quelli che dovrebbero essere i dettami di uno stato di diritto.

Per non avviare una digressione sui massimi sistemi e per restare saldamente agganciati alla realtà, soprattutto con riferimento all’ormai imminente voto referendario, è opportuno ragionare in relazione ai quesiti referendari per cercare di comprenderne l’esatta portata e la effettiva valenza riformatrice.

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Referendum Giustizia, il primo quesito

Con la scheda di colore rosso per il Referendum n. 1 si propone l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. Si tratta della cosiddetta legge «Severino» che, voluta in un momento di grande spinta emotiva contro la partecipazione in politica di chi aveva pendenze giudiziarie, ha introdotto norme di incandidabilità (e conseguente decadenza) operanti già dopo la condanna in primo grado.

La legge in questione è stata oggetto di vibranti discussioni prima e dopo la sua approvazione, ma il dato tecnico è che tale legge introduce nei fatti una sanzione accessoria che opera anche prima del passaggio in giudicato della eventuale sentenza di condanna e questo sembra essere in stridente contrasto con la norma costituzionale (art. 27 della Costituzione) che stabilisce «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.».

Inoltre la legge in questione incide direttamente su un diritto costituzionalmente garantito (il diritto di elettorato passivo) e sembra un sovvertimento dei principi dello Stato di diritto il consentire l’applicazione di una pena accessoria prima del giudicato definitivo con forti limitazioni di un diritto costituzionalmente garantito a mezzo di una legge ordinaria, il tutto nel contesto di un sistema giudiziario che ci mette anni a definire le posizioni processuali e che assolve il 50% degli imputati: come dire che, statistiche alla mano, almeno il 50% di coloro che si vedono privati preventivamente del loro diritto di elettorato passivo saranno assolti quando però la loro vita politica sarà stata irrimediabilmente compromessa.

Referendum Giustizia, il secondo quesito

Con la scheda di colore arancione per il referendum n. 2 si propone la limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale.

E’ il tentativo di arginare quello che spesso è sembrato essere un abuso delle misure cautelari che in qualche caso sono sembrate più un’espiazione anticipata di pena o uno strumento di pressione nei confronti dell’imputato. Non può, in questo caso, non osservarsi che a fronte di migliaia di processi nei quali sono state adottate misure cautelari quelli nei quali, a torto o a ragione, sono state evidenziate criticità sono solo pochi, anche se il clamore mediatico suscitato li ha resi maggiormente evidenti rispetto a quelli nei quali le misure cautelari sono state da tutti ritenute giustificate e congrue.

Non esiste in questa materia una soluzione ottimale perché si tratta sempre di adottare da parte del legislatore il «punto di caduta» più equilibrato per contemperare le esigenze processuali e di tutela della collettività con il rispetto del diritto di libertà di ogni cittadino. In altre parole, non mi pare che lo strumento referendario, col suo drastico dualismo SI/NO, sia quello più adatto ad una soluzione che dovrebbe essere mediata e quindi frutto del compromesso più largamente condiviso.

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Referendum Giustizia, il terzo quesito

Con la scheda di colore giallo per il referendum n. 3 si propone la separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati. Si tratta della introduzione sostanziale di quella che nel gergo comune è diventata la «separazione delle carriere» tra giudici e pubblici ministeri.

E’ un tema che è stato oggetto di forse troppe discussioni e che è ormai maturo per essere affrontato anche con un quesito referendario. Chi si pone a difesa dello status quo fa valere la cosiddetta «cultura della giurisdizione» che dovrebbe animare i p.m. nella «ricerca della verità» e, quindi, anche delle prove favorevoli all’indagato.

A fronte di tali argomenti si ergono però i fatti nel senso che non c’è quasi memoria di un p.m. che abbia cercato anche le prove favorevoli all’imputato e che, avendo nel 1989 l’Italia adottato un processo penale di tipo accusatorio e quindi di parti uguali davanti ad un giudice che dovrebbe essere terzo, è difficile giustificare che una parte (l’accusa), che dovrebbe stare alla pari dell’altra (la difesa), sia poi «collega» del giudice che dovrebbe essere terzo arbitro neutrale.

Il passaggio dal processo inquisitorio (lo Stato con giudici e p.m. in contrapposizione all’imputato) a quello accusatorio (processo tra parti uguali davanti ad un giudice terzo) avrebbe dovuto essere completato con la riforma che si vuole introdurre con questo quesito referendario.

Referendum Giustizia, il quarto quesito

Con la scheda di colore grigio per il Referendum n. 4 si propone la partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte. Il quesito tende ad introdurre il potere di valutazione nella progressione in carriera dei magistrati anche ai componenti laici (per lo più avvocati) facenti parte dei rispettivi organi di valutazione.

E’ del tutto evidente che chiedere agli avvocati di giudicare i giudici con cui si interfacciano presenta qualche criticità perché il giudizio potrebbe essere condizionato pesantemente anche dalle vicende soggettive e dal «gradimento» di certe decisioni. Per usare una metafora, è come se si chiedesse agli studenti di poter valutare i loro insegnanti per la progressione in carriera.

Vero è che si dice che i migliori giudici di un insegnante sono i suoi studenti, ma da qui a dare a questi ultimi il potere di poterne determinare la carriera (come pensate che valuterebbe lo studente che è stato bocciato?) ce ne corre. A mio parere il quesito referendario rischia di introdurre concreti conflitti di interesse in organismi preposti alla valutazione che dovrebbero restare quanto più neutri possibile.

Referendum Giustizia, il quinto quesito

Con la scheda di colore verde per il Referendum n. 5, infine, si propone l’abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. Ci si propone cioè di intaccare il potere delle correnti dell’ANM che finora scelgono autoritativamente i candidati al CSM che poi rispondono a logiche, appunto, di corrente. Non è sufficiente, a mio avviso, abolire il requisito del numero minimo di sottoscrizioni necessarie per poter presentare una candidatura perché questa misura da sola non sarebbe sufficiente per impedire alle correnti di fare cartello sui «loro» candidati.

Tuttavia, l’approvazione del quesito referendario sarebbe un segnale forte anche per il legislatore impegnato ad «istituzionalizzare» il CSM che ormai da decenni sembra essere diventato una promanazione del correntismo dell’ANM. Spero di aver dato un contributo di chiarezza in vista della tornata referendaria e mi auguro solo, vista l’importanza dei quesiti, che ci sia un’ampia partecipazione al voto tale da far raggiungere il quorum di validità.

Sebastiano Neri*
Presidente di sezione
Corte d’Appello di Messina

Setaro

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