«Il Cartastorie» della Fondazione Banco di Napoli raccoglie 500 anni di storia dei banchi pubblici napoletani
Il Museo del più grande archivio di documentazione bancaria del mondo (100 km di scaffali in circa 330 stanze) ha riaperto al pubblico a Napoli rinnovato ed arricchito da un percorso multimediale interattivo. «Il Cartastorie», museo dell’Archivio Storico della Fondazione Banco di Napoli, raccoglie 500 anni di storia dei banchi pubblici napoletani, a partire dal «Banco della Pietà», fondato nel 1539.
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«Qui – dice il prof. Orazio Abbamonte, responsabile delle attività culturali della Fondazione Banco di Napoli – fu inventata la fede di credito, antenata dell’ assegno circolare. Il titolare di un deposito in monete d’ argento si faceva rilasciare dal banco un foglio di carta con l’indicazione della somma di denaro voleva utilizzare e la causale del pagamento».
La più antica fede di credito custodita nell’archivio, del 1616, fu utilizzata per pagare un falegname per conto dei Padri Gesuiti. Tra le più preziose c’è quella consegnata dal mercante croato Nicola Radolovich a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, per la realizzazione di una pala d’ altare, e quella che attesta un pagamento nel 1754 del Principe Raimondo di Sangro, allo scultore Giuseppe Sammartino per la realizzazione della famosa statua del Cristo Velato nella Cappella San Severo.
Il percorso multimediale
I contributi in voce, suoni ed immagini del percorso multimediale “Kaleidos” , di Stefano Gargiulo, accompagnano i visitatori tra gli enormi faldoni di documenti, le “filze” , lunghi spiedi sui quali venivano impilate le ricevute, ed i registri scritti a mano da impiegati e “giornalisti”, come venivano chiamati gli addetti alla registrazione delle operazioni quotidiane dei banchi. 17 milioni di nomi, centinaia di migliaia di documenti degli otto banchi pubblici attivi a Napoli tra il 1539 ed il 1808, oltre ai documenti del cda del Banco di Napoli fino al 1970 costituiscono il patrimonio, che è in via di digitalizzazione dell’ Archivio della Fondazione Banco di Napoli. «Digitalizziamo una parte dei documenti per ampliare la platea degli studiosi e rendere più fruibile l’archivio» – dice il prof, Abbamonte.