Il disimpegno diventa il baricentro di un sistema che vuole un potere, tecnocratico e monolitico, preda di pochissimi
Una massa sempre più radicata di individui manifesta, in ogni dove, insoddisfazione per ciò in cui si è ridotta la vita. Tuttavia, pur malinconicamente insoddisfatti, questi signori mantengono e rafforzano l’approccio subdolo e pervasivo del potere tecnocratico.
Seguono così una logica negletta: lamentosi e critici non mettono mai mente all’impegno, giustificano il loro anonimo essere, chiudendosi in un limbo/bolla, cercando di mantenersi in vita, farsi assistere ed alimentare in una condizione di riflusso nel privato in cui le visioni personalistiche ed egoistiche si avvitano su se stesse e si impongono senza costruire molto per la coesione sociale.
In questo stadio, in cui i moltissimi scappano dall’impegno civile, ci si inventa una rinnovata dimensione interiore che giustifica un «non essere» che non si traduce in qualcosa né qui né mai. Ecco che il disimpegno diviene baricentro di un sistema che vuole un potere, tecnocratico e monolitico, preda di pochissimi, sì da spingere alla disaffezione i tantissimi e allontanarsi definitivamente dalla critica civile.
In tale clima si giunge alla conclusione del «tutti brutti» che rende il vivere impegnato poco attraente ed una prospettiva che non rassegna speranze. Eppure queste sono le stesse persone che, lamentandosi dell’attuale condizione vissuta, hanno attraversato ogni esperienza politica dalla sinistra al centro alla destra, per poi passare a partecipare intensamente a nuove esperienze sociali attraverso l’immergersi in esoterismi di maniera, immaginandosi di coltivare carriere attraverso le gerarchie segrete per poi concludere, sempre disfattisticamente, a non riconoscere nessuno accanto a sé e/o di ugual valore, ma nel contempo sempre pronti a fingere di anelare a qualcosa di diverso.
Quelli che, come li descrisse bellamente Dante Alighieri quando li colloca nell’Antinferno, sono da reputarsi indegni di qualunque cosa, sia delle gioie del Paradiso che delle pene dell’Inferno: non essendosi mai schierati nella loro vita, infatti, non possono appartenere a uno schieramento una volta morti.
Ebbene a questi bisogna ispirare e dedicare lo sprezzo di nuove ribellioni e di nuove generazioni, perché, se oggi la crisi attuale involge al peggio, è pure vero questa condizione sia voluta deliberatamente da tutti coloro che, per rassegnazione o comunque inoperosità, ricadono in questa diffusissima, radicata viziosa moltitudine.
Certo spazientisce ancora questo stato dell’arte e con Indro Montanelli si può ribadire che vada detto in maniera forte e dirompente che: «Riconoscano questi signori – e lo riconoscano a chiare lettere – di aver sbagliato nello scaricare l’uomo delle sue responsabilità rigettandole tutte sul “contesto sociale”, negandogli ogni facoltà decisionale, e così aprendo le porte al permissivismo che oggi ci affligge. Riconoscano che considerandolo, l’uomo, solo un prodotto della società e quindi incapace di una sua autonomia di scelte, non lo si libera, ma lo si umilia e gli si offre l’alibi alle scelte peggiori» … ed ancora questi signori «Riconoscano di aver commesso, e di commettere tuttora un sopruso fascista, bollando di fasciste e cercando di ghettizzare tutte le voci di dissenso da questo andazzo»
Solo in questo modo e con questi ignavi il potere dei pochi diviene dittatoriale, laddove la costruita sfiducia spinge artatamente a stare a guardare ed a rendere tutti dei redivivi Guicciardini ovvero racchiusi in un modello di pusillanimità e mutevolezza senza aggettivi, e quasi trasformistica, di chi sta a guardare alla storia senza speranza e senza volontà di modificarla, abbandonando a se stesse le nuove generazioni.