Il ruolo del parlamento riveste sempre meno rilevanza e la politica rischia di essere e/o diventare un banale ammennicolo ovvero inutile
Negli ultimi anni si è appalesata, vista l’incalzante elaborazione legislativa a immutato impianto costituzionale, la necessità di innestare nel sistema in divenire ragionamenti che potessero rintracciare elementi di razionalità e di ragionevole compiutezza nel connettere regole del gioco a effetti giuridici positivi.
Ne consegue l’ulteriore derivata per la quale un sistema nella sua organicità debba avere e/o generare effetti che conducano al raggiungimento del fine primario della politica (quale arte nobile) rivolta al perseguimento dell’interesse generale e pubblico.
Di contro ove si voglia dare e riconoscere preminenza agli interessi politici o, ancora peggio, partitici si rischia di fare divenire l’organizzazione e gli apparati dei corpi intermedi, che devono contribuire alla discussione pubblica, entità o del tutto astratte, oppure endemicamente pervasive del tessuto sociale fino a renderlo putrescente o ancora peggio schizofreniche rispetto alla realtà da vivere riscattandola dai suoi bisogni ovvero secondo un necessario procedere risolutivo delle situazioni di crisi.
In questi ultimi anni i mutamenti della forma di governo sia pure a Costituzione invariata, l’emersione di un sistema politico bipolare e la logica dell’alternanza seguiti alla riforma elettorale maggioritaria del ‘93, ha spinto il sistema dei partiti a trasformarsi attraverso rimodulazioni e rimaneggiamenti che puntano a garantire forme democratico-governative e soprattutto il determinarsi di incrostazioni dovute all’unica stazione di potere che procede per arbitrii e compiacenze.
Tali cambiamenti richiedono, pertanto, amministrazioni all’altezza dell’esecuzione dell’indirizzo politico-amministrativo dettato dalle diverse forze politiche che si avvicendano al governo, una fedeltà che può essere garantita tanto dalla separazione quanto dalla subordinazione tra politica e amministrazione, tanto dalla neutralità quanto dal controllo politico dell’amministrazione.
E sappiamo che sia il principio di subordinazione che di separazione hanno fondamento in una pluralità di norme della Costituzione, a cominciare da un lato dall’art. 95, secondo comma, sulla responsabilità individuale dei ministri per gli “atti dei loro dicasteri” e dall’altro dall’art. 97, secondo comma, che prevede che vengano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Tale assioma fa emergere un’intrisa intelaiatura che serve a individuare spazi di adattamento e mettere a punto quelle abilità necessarie per soddisfare i bisogni.
Questo il quadro che viene contraddetto in un momento in cui l’asse Draghi-Mattarella dovrà con spinta dirigista (pilota automatico) dare luogo a tutta una serie di riforme dalla transizione digitale a quella ecologica fino a mettere a fuoco quella della giustizia, che, in Italia, non risulta essere di secondo piano, con atteggiamento unilaterale e monocratico.
Seguendo questa logica il ruolo del parlamento riveste sempre meno rilevanza e la politica – in quanto sommatoria di complessive prese di posizione e sintesi tra valori ideali, principi condivisi e correlate traduzione prammatiche – rischia di essere e/o diventare un banale ammennicolo ovvero una cosa inutile.
Ebbene, procedendo in questa direzione maggioranze e opposizioni parlamentari servono a ben poco con i loro apparati a realizzare ciò che è previsto nell’art.49 Cost. ovvero che «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», viene meno quel principio originario di partecipazione perché si svuota di incisività e si disperdono tutte quelle energie professionali, intellettuali e militanti che avrebbero dovuto caratterizzare il destino di una nazione.
Da qui deriva una visione impolitica che guarda alla governabilità come momento declinabile anche senza partecipazione, ovvero esercitata da uomini soli al comando, che, ironicamente verrebbe da dire, da dittatorelli di isole infelici, dove i partiti sono luoghi vuoti, in cui non si esprimono sensibilità nel confronto tra culture politiche diverse e dove non appare possibile rintracciare futuro vitale perché plurale.
Così si giunge al terribile partito unico (quello centrista) che, con lo scorrere del tempo, non è più in grado di assolvere al proprio compito ed implode. Ovvero quello di rispondere all’emergere di nuove domande, di nuovi bisogni e mettere definitivamente in luce che una gerontocrazia ovvero un’autocrazia, oltre alle incrostazioni ataviche d’impianto para-mafioso come avrebbe detto Panfilo Gentile, può determinare una vera e propria crisi di rappresentanza.
Appunto per questo c’è necessità di sistemi vitali in cui l’alternanza sia cifra di un diverso pensiero che pretende esercizio di libertà di espressione e dignità di una politica che non è fatta di selfie e di battute senza idee.