Quirinarie, regole e volontà politica per armonizzare i rapporti fra Capo dello Stato e premier

di Rino Nania

Contro gli spauracchi del debito pubblico e del Covid, la politica pensa di utilizzare l’autorevolezza di Draghi a difesa del sistema-Italia

Un tempo erano le società mature ad avere la capacità di orientarsi appigliandosi a personalità la cui valenza andava oltre il contingente, affinché si potesse avviare un’altra storia per la vita istituzionale e per le società umane. Così è avvenuto in Francia con la quinta repubblica laddove si scorse nella classe dirigente un generale come Charles De Gaulle, in grado di impersonare il tempo con le sue criticità dando luogo alla cosiddetta Repubblica Presidenziale in un sistema semi-presidenziale.

In quello scorcio storico si delineò un tale contesto istituzionale in cui il bisogno di soluzioni e di equilibrio imponeva un governo che doveva dipendere dalla fiducia di due organi designati da due differenti consultazioni elettorali, il Presidente della repubblica e il Parlamento: il Primo Ministro in questo quadro veniva nominato dal Presidente, ma necessitava, insieme al resto del suo esecutivo, della fiducia parlamentare.

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L’esempio francese fornisce l’ipotesi «equilibrata» con cui dare risposte risolutive alle criticità di una società in cui la cultura politica sembra ridotta ai minimi termini, la sensibilità umana non guarda oltre il proprio ombelico e le soluzioni sono preda di una scienza raminga che, col metodo proprio, procede per prova ed errori.

Oggi l’Italia, con lo spauracchio del debito pubblico e del Covid, immagina con i suoi riferimenti istituzionali, sempre più vaghi e incerti, di poter trovare in Mario Draghi quell’autorevolezza, quella sufficiente ambizione e soprattutto quello scudo in grado di fornire la protezione al sistema-Italia con il proprio patrimonio. Se il debito pubblico ha ormai raggiunto cifre «indicibili» di fantastiliardi non appare sufficiente che un brillante banchiere legato a doppio filo con gli USA possa, in qualche maniera, rimediare a un’economia malata, a un sistema bancario in frantumi e soprattutto a un’industria incapace di sostenere e coniugare massimizzando il rendimento nella produzione con la crisi del mercato dell’energia.

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In tutto questo la politica, fin quando può, aggrappandosi al sistema capitalistico e alla sua derivata finanziarizzazione procede seguendo un percorso accidentato volto ad approdare alla conclusione cui è giunto, quel genio qual era, Emanuele Severino laddove ha attribuito in una sintesi definitoria il ruolo della politica che esaurisce la sua natura e portata: «la politica tramonta, quando non si rassegna alla propria dipendenza dal capitalismo, s’illude di poter guidare il capitalismo, ossia ciò che è destinato al tramonto». Ciò a maggior ragione quando si cerca una soluzione di facciata delegando una figura, con un profilo ben definito, come Mario Draghi. Questa è la dimostrazione, già fornita da Severino, sull’inevitabilità del passaggio che dalla gestione politica dei processi politici conduce alla gestione tecnico-scientifica di tali processi, svuotando di significato la presenza politica.

Così la tendenza fondamentale del nostro tempo appare in tutto il suo limite ovvero che la storia possa procedere secondo quanto intenda portare avanti la volontà umana ovvero quel tanto o poco che questa si sia proposto di realizzare.

Ebbene in questo quadro si rende necessaria prima di ogni trasformazione “di fatto” dell’impianto costituzionale, attraverso una riforma che rintracci nuovi equilibri e metta in atto un metodo idoneo a coordinare risorse umane ed economiche e strumenti istituzionali, affinché la partecipazione dei cittadini non sia relegata ai margini, ma dia la stura a una visione riformatrice, capace di mettere ordine, di partire dall’attualità istituzionale e dare il segno visibile di come si possa concretizzare il bilanciamento dei poteri. Di qui ne consegue un ruolo apicale (ad es. i poteri del Presidente della Repubblica o del Primo Ministro) a cui bisogna riconoscere la funzione rigorosamente disciplinata in diritto tesa ad armonizzazione nello stato di Diritto la distinzione e la separatezza dei poteri ovverosia che guardi prima alle regole, coniandole sulla scorta ispiratrice dei principi di legalità e legittimità.

Se il percorso dovesse invertire la direzione di marcia ovvero partire dall’uomo della provvidenza (in questo caso l’odierno Draghi) per poi dare forma e sostanza alle regole, rischieremmo di fornire all’esperienza limiti e vizi irriducibili, vale a dire tagliare e cucire un abito istituzionale a misura delle ambizioni arbitrarie del personaggio occasionale del momento, che, con buona probabilità, risponderebbe più alle sue simpatie, senza quel necessario riguardo per le istituzioni, che dovrebbe dare certezza alle regole e fornire garanzie alle libertà in un equilibrato rapporto di diritti e doveri nell’interesse della nazione e dei cittadini, fugando le paure di redivive tirannidi.

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