L’Unione Europea non ama vino e birra, preferisce bersi il cervello

Si è parlato persino di prossime pietanze a base di vermi

L’Unione Europea non finisce mai di stupire. Nata sotto una spinta catartica, purificatrice e riparatrice dei danni prodotti dalla seconda guerra mondiale, via via si è trasformata in una fonte di guai per i popoli europei.

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Dopo gli impegni e le promesse solenni, venne la volta di Maastricht. Inizialmente sembrò un successo ed il buon senso e la preveggenza trovarono ospitalità solo in due piccoli partiti frontalmente contrapposti, ma capaci di capire che qualcosa non quadrava: il Movimento Sociale e Rifondazione Comunista. Entrambi, seppure così lontani ideologicamente, avvertirono che sarebbe stato l’inizio della fine delle sovranità nazionali e dello scatenarsi del capitalismo più esasperato.

Già i famigerati parametri puzzavano di bruciato e nessuno era in grado di dire su che basi si fondassero, a seguito di quali analisi econometriche si fosse arrivati ad essi. Ci volle del tempo per scoprire che si trattava di numeri a caso, quasi fossero estratti dal cilindro dell’illusionista o dal sacchetto con i numeretti della tombola.

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Sul 60% come limite massimo del debito pubblico rispetto al Pil e sul 3% come limite del deficit annuale, si è giocato il destino degli europei che hanno entusiasticamente aderito al grande Club.

Correva l’anno 1992 ed il «mostruoso» debito pubblico italiano era attestato al 104%. I governi di destra e di sinistra si impegnarono con determinazione ad abbatterlo per non incorrere nelle ire dei solerti burocrati annidati nei palazzi di Bruxelles e di Strasburgo, che nessuno conosceva ma tutti temevano. Non ci riusciranno, cosa del tutto ovvia.

Oggi il debito pubblico si è avvicinato al 160%, ma tutto va bene madama la marchesa perché al governo ci sono i «comparuzzi di Goldman Sachs» (il copyright è di Cossiga), pronti a bacchettare chiunque si azzardi a governare al posto loro. Il popolo può continuare a votare, se vuole, a patto che il risultato non vada a disturbare i reali padroni del vapore.

Il Natale dell’euro

A quasi vent’anni dal giorno del Natale dell’euro, la moneta che avrebbe dovuto garantire una difesa di fronte al debito pubblico, ci stiamo godento i risultati concreti.

Eppure l’euro-profeta Prodi ci aveva rassicurati: «Con l’euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più». Mai profezia fu più balorda, e proprio da quel dì gli italiani hanno visto decrescere inesorabilmente i loro redditi da lavoro.

Lo ha confessato candidamente, come è suo solito, senza rendersi conto della gravità delle cose che diceva, anche un secondo euro-profeta: Mario Monti. Già noto per avere maturato un abbondante sciocchezzario. Dopo avere definito la Grecia «il più grande successo dell’euro»; dopo avere visto «la luce in fondo al tunnel»; dopo avere elogiato le scelte dell’Unione Europea prese «al riparo dal processo democratico»; recentemente ha sostenuto che per combattere la pandemia «serve una somministrazione dell’informazione meno democratica», lasciando intendere che soltanto agli «illuminati» spetta il compito di elargire la santa verità.

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Ebbene, un tale profeta, durante il suo governo, si è vantato senza pudore, ai microfoni di una televisione estera, di avere «distrutto la domanda interna». Tradotto: di avere distrutto il potere di acquisto degli italiani. E l’impoverimento generale, in particolare della classe media, è sotto gli occhi di tutti.

Ma occorreva un terzo euro-profeta europeo, per accelerare il processo di beatificazione del popolo italiano: il Migliore tra i migliori, Mario Draghi. Con lui la povertà ha toccato la punta più alta con quasi il 10% degli italiani in povertà assoluta. Però ci ha portato i soldi del Pnrr, che nessuno ha ancora visto; ha avviato la transizione ecologica e digitale, che porterà miliardi nelle casse delle multinazionali e regalerà altrettante tasse agli italiani. E soprattutto ha affrontato la pandemia e «garantito lo stato di diritto».

Il sogno di Klaus Schwab: la quarta rivoluzione industriale

Questo naturalmente lo dice lui, ma non lo possono dire tutti coloro ai quali è stata di fatto tolta la parola e negato il dritto di manifestare senza essere aggrediti con manganelli e idranti. Non lo possono dire neppure milioni di italiani discriminati persino nel lavoro per non essersi inoculati il sacro siero sperimentale che immunizza Big Farma, politici e sanitari da ogni responsabilità. Il processo in atto va incontro al sogno di Klaus Schwab: la quarta rivoluzione industriale, che ci renderà tutti più poveri ma felici.

Tanto per gradire, nel 2030 non si potranno né vendere né affittare le case che non abbiano subito una «riqualificazione energetica», in nome della «neutralità climatica». Milioni di lavoratori, che hanno persino difficoltà nel riparare il rubinetto di casa, stanno già facendo salti di gioia al pensiero di dovere «investire» somme consistenti per vivere in abitazioni col certificato green. La strada verso l’esproprio immobiliare è già spianata.

La nostra salute è importante e le amorevoli cure europee, si rivolgono anche ai cibi e alle bevande che mettiamo a tavola. Si è cominciato con i formaggi senza latte per proseguire con il cioccolato senza cacao ed altre amenità culinarie.

Si è parlato persino di prossime pietanze a base di vermi: dicono che questi siano particolarmente nutrienti e ricchi di proteine.

Adesso è venuto il momento del vino e della birra. Bevande pericolose per l’Unione Europea, e bisognerà scoraggiarne l’uso con più tasse. A poco serviranno le proteste di Dioniso/Bacco, dio del vino, e ancor meno quelle degli operatori del settore agroalimentare italiano.

Almeno ai sacerdoti verrà riconosciuta la modica quantità? Lo si spera, altrimenti non potranno continuare a celebrare messa in santa pace. Sembra proprio che in Europa si siano bevuti il cervello al posto del vino.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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