Persone a una dimensione omologata, incapaci di produrre idee, pensiero e sensibilità comune

di Rino Nania

Marcuse precorse le attuali dinamiche in cui l’uomo non è più artefice di nuovi fenomeni, ma solo spettatore passivo

Marcuse analizzava la società omologata, che rischiava, ai tempi, di ridursi a visioni conformistiche, il cui risultato è stato quello di riportare a una sorta di appiattimento verso il basso, laddove le ideologie trapassate si uniscono a una mentalità sempre più assorta e pigra che non intende misurarsi con la mutazione dei tempi e che arretra rispetto alla vita che si vive, fino al punto da restringere la discussione pubblica in angusti bla-bla-bla.

L’uomo a una dimensione di Marcuse evidenzia come l’uomo della società industriale avanzata sia divenuto un uomo standardizzato e omologato secondo precise esigenze del sistema economico e sociale, che lo vuole passivo e senza prospettive.

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Questo sistema si presenta come totalitario perché pone in essere una sorta di amministrazione totale dell’esistenza che è ridotta, di fatto, a una sola dimensione.

All’interno di essa si riducono anche i bisogni e le aspirazioni umane.

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Quest’unica dimensione dove vengono incanalati l’esistenza, i desideri e le necessità degli uomini è quella del consumo.

Assistiamo, così, a un uomo vecchio ed è quello che ancora si attarda a rimuginare su scelte che non possiedono il desiderio di attraversare nuove esperienze o aggiornare modelli al momento inapplicabili. In una sorta di limbo in cui si negano aperture e confronti. E, pur stando a sinistra, rappresenta la peggiore specie di conservatorismo reazionario.

Ciò fornisce ed è la prova evidente di come a sinistra non alberghi più quella visione modernista e profetica delle “sorti e progressive”, sì da far appartenere la sinistra ad una dimensione omologata, senza più nerbo e senza più l’energia del popolo che dovrebbe produrre idee, pensiero e sensibilità comune.

E invece espande aridità.

Tutto ciò è la sintesi e la proiezione della chiacchiera dei salotti, che non si confronta con la realtà, che ha stipendi assicurati, che non riesce a far uscire generazioni dal precariato diffuso e che guarda alla crisi che si vive in una sorta di immobilismo, senza riuscire a sperimentare nulla di nuovo.

Questa è la rappresentazione tangibile che Marcuse percepiva ed intendeva qualificare come di una realtà dove veniva radicandosi una sorta di “tolleranza repressiva”. Ovvero che si avviava a portare a compimento un sistema ideato dalle classi di potere che estende sì le libertà individuali delle persone (libertà di opinione, di parola, di stampa ecc), ma facendolo in maniera del tutto apparente.

Così si impone un sistema che si limita a dare concessioni fittizie, che non ledono minimamente gli interessi e gli obiettivi dell’ordine esistente, e di contro, ne rafforzano il conformismo generale.

In questo quadro, Marcuse precorse le attuali dinamiche in cui l’uomo non è più artefice di nuovi fenomeni, ma solo spettatore passivo di una china senza via d’uscita, dove la speranza annichilita diviene disperazione. In cui l’IO tarlato non ha più la forza di divenire comunità plurale.

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