Col senno del poi, rispetto all’oggi: «…i “meravigliosi” anni di piombo…»

di Redazione

In piena pandemia da “covid 19” riemergono i cosiddetti “anni di piombo” italiani, portati a galla per l’arresto in Francia di “terroristi comunisti”, condannati in Italia e latitanti da 40 anni in quel Paese.

Sulla soglia di prescrizione del reato e della vecchiaia, dopo un esilio dorato garantito dalla Repubblica francese, pluricondannati per omicidi emergono dal dimenticatoio assurgendo alle cronache internazionali. Assassini di carabinieri, di sindacalisti, di militanti politici non comunisti, rischiano il ritorno in patria con le manette ai polsi. Rischio molto ridotto per farraginosità normativa, tempi lunghi della giustizia ed età avanzata dei condannati.

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Dei fatti se ne occuperanno talk show e professionisti dell’informazione, questo, forse, il vero cardine della questione. Le nostre riflessioni non riguardano i 40 anni vergognosamente trascorsi senza esecuzione delle condanne, interessa ricordare le motivazioni all’origine delle sentenze di condanna per appurare, finalmente, certe verità.

Quel momento storico era unico, non paragonabile all’attuale, o forse, era diametralmente opposto, per alcuni versi migliore. Ai nostri giorni, per il degrado in atto, scandali e degenerazione politica, assenza di diritti: lavoro, studio, sanità e giustizia basterebbe avere consapevolezza etica, dei propri diritti e doveri, per fare scattare “certe” proposte rivoluzionarie. Così non sarà, il “regime democratico repubblicano”, ha provveduto a “tagliare radici e ali” ai processi culturali partecipativi, in primis famiglia, scuola e politica.

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Gli anni settanta confinavano con la rinascita del dopoguerra, per intenderci, il lavoro si trovava, non sotto casa, ma si trovava. Elettrodomestici, utilitaria e vacanze estive erano garantiti a tutti. Volendo sognare, si poteva rivendicare “giustizia sociale”, anche se i progressi economici quasi mai la garantiscono. Aumentavano le contraddizioni e i discrimini divisori per aree geografiche. Il Nord sempre più ricco e proiettato verso il continente europeo, il Sud sempre più povero, spopolato, tradito e depresso.

In politica, partiti e movimenti, alleati o contrapposti, non riuscendo a fare coincidere tempi di riforme e “conquiste sociali”, aprirono alla stagione dell’incomprensione. La forte spinta filosofico-ideologica fece da incubatrice a scelte di cambiamenti repentini e (falsamente) rivoluzionarie: “la lotta armata al sistema”. Ebbe inizio la stagione della “rivoluzione cruenta contro lo Stato e le sue Istituzioni”. Istituzioni ufficiali o deviate, con l’aggiunta di servizi stranieri, calcarono il terreno degli scontri per trarne benefici. La democrazia repubblicana attinse energia dalle forze che auspicavano annientarla.

Venne forgiata la politica degli “opposti estremismi”. Destra e sinistra spinte a contrapporsi su basi strumentalmente ideologiche. Pur avendo entrambe scelto la via democratica repubblicana, con comuni obiettivi riformisti, si scontrarono lasciando scoperte le ali estreme. Queste ultime, cadute nelle grinfie dell’ideologismo più estremo, scontrandosi tracciarono una lunga scia di sangue. Spinte antidemocratiche fomentate, ad arte create e volute, da destabilizzatori interni ed esteri al Paese.

A rimetterci la vita servitori dello Stato, militanti di base, ritenuti colpevoli di scelte considerate “antirivoluzionarie”. Dal Nord al sud, Strade, scuole e piazze vennero trasformate in campi di battaglia. La lotta contro lo Stato degenerò in lotta armata e si aprì alle esecuzioni sommarie d’innocenti. Le Brigate Rosse per il comunismo rapirono, processarono e uccisero lo Stato nella figura del presidente della Democrazia Cristiana on. Aldo Moro (1978)

Ebbe inizio la stagione dello stragismo “nero” su cui ancora si celebrano processi.

Morti innocenti, uccisi perché “colpevoli” di scelte ritenute controcorrente e infami, etichettati contro moda, condannati e giustiziati.

Sergio Ramelli

Sergio Ramelli, studente diciottenne militante del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI, la sera del 13 marzo 1975 venne colpito a morte perché ritenuto colpevole d’esternare idee non «democraticamente allineate». Il giovane militante del F.d.G. aveva espresso condanna, in un compito d’italiano, agli omicidi perpetrati dalle Brigate Rosse per il Comunismo.

Nello specifico l’uccisione di due iscritti del MSI. Mazzola e Giralucci, massacrati dalle Brigate Rosse nella sede del partito a Padova. Il componimento, sottratto al professore di lettere, reso pubblico, divenne la condanna a morte. Esecutori dell’omicidio un gruppo di “soldati di Lotta Continua per il comunismo”, Sergio Ramelli, dopo giorni di sofferenze, cessò di vivere il 29 aprile 1975.

L’anno successivo, il giorno della commemorazione di Sergio Ramelli, sempre a Milano venne ucciso l’avv. Enrico Pedenovi. Consigliere provinciale del MSI, doveva partecipare alla commemorazione di Ramelli, non ne ebbe la possibilità. Il mattino del 29 aprile, all’uscita di casa, venne ucciso da un “commando di potere operaio per il comunismo”. L’obiettivo era stato scelto perché facile da abbattere.

La sera dello stesso giorno (29 aprile 1976, ore 19,00), a Caserta i militanti del “fronte”, si riunirono in corso Trieste, angolo via G.B.Vico, per volantinare, commemorare e condannare la morte di Sergio e di Pedenovi. La libertà d’espressione, negli anni di piombo, era a rischio e pericolo, non sempre garantita, dipendeva da fattori “paramilitari”. Quella sera, a tappare la voce del “Fronte”, intervenne la violenta sassaiola, seguita da scontro ravvicinato con badili e spranghe di ferro, del nucleo locale di Lotta Continua. Scontro favorito dall’assenza (ragionata) delle forze di polizia, avvisati della manifestazione, ma assenti.

Ragazze e ragazzi del Fronte, in posizione numerica impari rispetto agli aggressori spalleggiati anche da cani sciolti, furono costretti ad abbandonare l’azione di volantinaggio e rientrare di corsa nella loro sede di via Roma, 59. Successivamente, aiutandosi tra loro, a gruppetti e con l’apporto di alcuni genitori e amici, fecero ritorno a casa. Uguale cosa non riuscì all’allora segretario provinciale del Fronte e Consigliere Comunale di Caserta Nicolò Cuscunà.

Il capo politico dell’organizzazione giovanile del MSI, accompagnata in auto la fidanzata a casa in via Ricciardi, proseguiva per fare ritorno alla propria in via G.B. Vico. Ad attenderlo, davanti alla Reggia, due auto con a bordo 8 persone armate di chiavi inglesi (Hazet 36) e manganelli ricavati dai tubi idraulici (ritrovati nel luogo dell’attentato). L’aggressione avvenne sotto gli occhi di decine di occupanti le auto di passaggio. L’azione paramilitare, violenta e veloce, si concluse allorquando, Cuscunà esamine e erroneamente ritenuto morto, venne lasciato a terra in una pozza di sangue.

Trasportato al pronto soccorso ospedaliero venne recuperato a vita grazie ai medici (compianto dr. Eduardo Oliva) e alla buona sorte. I colpi, tutti inferti alla testa (37 punti di sutura +10 +3), non erano risultati mortali in quanto non diretti, ma inflitti attraverso i finestrini dell’auto (4 arresti).

Da quell’evento sono trascorsi 46 anni, e continuiamo a testimoniare la passione politica che contraddistingue la nostra vita, nel ricordo di chi non ha avuto dal destino uguale fortuna.

Per meglio far comprendere il significato degli “anni di piombo” e le sue faziosità, rammentiamo il comportamento del Consiglio Comunale di Caserta. Alla prima occasione utile, approvò a maggioranza uno scarno ordine del giorno nel quale genericamente condannata la violenza, senza alcun riferimento all’accaduto ad un suo consigliere. Non si può ritornare indietro per rifare quello già fatto. Al contrario, si devono promuovere stimoli politici ai giovani, indicando loro la strada del servizio alla Res Publica. In modo da concretizzare la Democrazia e onorare tutti i caduti degli “anni di piombo”.

«Onestà intellettuale, non segnare il passo nè avere il torcicollo per coerentemente cercare sempre il nuovo con cui confrontarsi».

Setaro

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