Covid, l’Istat: «Il 48,5% delle aziende italiane a rischio». Al Sud i contesti più fragili

di Gianluigi Di Ronza

La crisi colpisce soprattutto le micro e piccole imprese secondo i risultati della seconda indagine su “Situazioni e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”, a fine 2020.

L’approfondimento condotto dall’Istituto Nazionale di Statistica ha posto l’attenzione sui risultati, riguardanti la situazione durante la crisi pandemica, relativi a un insieme di variabili di particolare rilevanza per la vita dell’impresa, in particolare sulla dinamica del fatturato nel corso del 2020, la presenza di rischi operativi e di sostenibilità e sulla loro capacità di attuare strategie di risposta. La mappa della solidità che ne è venuta fuori ha delineato come l’8,9% delle imprese siano classificate ad Alto rischio mentre un altro 39,6% risulta invece classificabile con rischio medio-alto.

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Più della metà di queste aziende ha meno di 3 dipendenti e vede quale principale vincolo alla ripresa nel primo semestre 2021 la scarsa domanda nazionale. Chi segnala seri rischi di chiusura è il comparto delle agenzie di viaggio, tour operator, che hanno visto un azzeramento dei loro ricavi con un meno 88%.

Numeri da brivido quelli che emergono dal rapporto sulla competitività dei settori produttivi.

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«Si tratta – afferma il presidente dell’ISTAT, Gian Carlo Blangiardo – di un lavoro di ricerca che, nella sua nona edizione, ha l’intento di analizzare statisticamente la tenuta del settore produttivo italiano, colpito dalle conseguenze economiche prodotte dalla pandemia. La crisi ha danneggiato prevalentemente le imprese di piccole dimensioni, costrette ad affrontare con pochi mezzi il crollo della liquidità e della domanda interna. La pandemia, inoltre, ha accentuato il divario tra le diverse aree geografiche del Paese. Abruzzo, Basilicata, Campania, Sardegna e Umbria sono state le regioni che, stando al rapporto, hanno patito più delle altre la crisi pandemica in termini di tenuta produttiva».

Circa il 30 per cento delle aziende, in prevalenza microimprese, sono state “spiazzate” dall’emergenza sanitaria e a fine 2020 non avevano ancora attuato concrete strategie di difesa. Il 25,8 per cento ha reagito introducendo nuovi prodotti, diversificando i canali di vendita e di fornitura (anche con servizi on line e di e-commerce); il 20,9 per cento ha riorganizzato processi e spazi di lavoro, accelerato la transizione digitale, adottato nuovi modelli di business.

Il Rapporto rileva che in 11 regioni almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio Alto o Medio-alto (riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi). Sette sono regioni del Mezzogiorno (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia).

Anche gli studi condotti a livello più fine rispetto a quello regionale, ha individuato nei territori prevalentemente del Sud i contesti più fragili dal punto di vista strutturale. Infatti, le evidenze emerse dall’analisi dei sistemi locali del lavoro hanno confermato alcuni recenti risultati della Banca d’Italia, circa la presenza di difficoltà occupazionali e produttive nelle attività economiche caratterizzate da un più alto rischio di contagio pandemico, maggiormente diffuse nelle regioni del Mezzogiorno.

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