Dal 7 aprile fino al termine del mese l’Italia sarà o arancione o rossa. Niente giallo, quindi. È l’effetto del decreto legge varato ieri dal Consiglio dei ministri che entrerà in vigore dopo le festività pasquali. C’è voluto un intero pomeriggio per giungere a mettere nero su bianco le nuove regole, trovando una mediazione tra le varie posizioni emerse con chiarezza all’interno della maggioranza e nello stesso governo.
Il decreto, però, prevede la possibilità nel mese di aprile di fare un check e decidere un ammorbidimento delle misure. Spetterà al Consiglio dei ministri prendere la decisione sulla base sia della curva dei contagi che dell’andamento delle vaccinazioni. Bisognerà comunque aspettare il testo ufficiale per capire come questo accadrà. E’ questa l’unica concessione alla linea aperturista che, invece, ha dovuto ingoiare l’amarissimo boccone dell’annullamento della zona gialla.
Però tanto è bastato a Matteo Salvini e alla Lega per annunciare trionfanti il «commissariamento di Speranza» e la vittoria sulla linea rigorista. I primi commenti leghisti, infatti, se da un lato spiegano che «avremmo preferito un’apertura maggiore», dall’altro chiariscono che «siamo soddisfatti perché non è passata la linea della chiusura totale e le revisioni verso le aperture saranno sempre possibili, ogni settimana. Basterà una delibera del Cdm per cambiare in meglio se i dati lo consentiranno. Di fatto un commissariamento di Speranza e del CTS».
Passa qualche minuto e le ricostruzioni dietro le quinte si arricchiscono di altri particolari che sostengono che «il governo valuterà eventuali riaperture dopo Pasqua, basandosi su dati scientifici e sull’efficacia del piano vaccinale. In altre parole, alcune aree del Paese potrebbero tornare gialle già ad aprile. Insomma la «risposta positiva alla richiesta che Matteo Salvini aveva ribadito direttamente al ministro Roberto Speranza nel corso di un faccia a faccia di questa mattina».
Un risultato raggiunto non senza «l’irritazione di alcuni ministri (in primis Franceschini, Speranza e i grillini) decisi a non attenuare le chiusure», ma «alla fine, Salvini strappa il risultato su cui insisteva da giorni. Ed è soddisfatto: poco prima del Consiglio dei ministri aveva criticato le indiscrezioni sul decreto perché prevale una scelta politica e non scientifica. Il testo finale, però, testimonia il cambio di rotta. E per la Lega, si conferma il buon rapporto con il presidente del Consiglio Mario Draghi».
E tra le fonti non mancano quelle di forziste che fanno registrare la «soddisfazione dei ministri di Forza Italia per l’intesa raggiunta in Consiglio dei ministri. Così come proposto nei giorni scorsi dagli azzurri, sarà possibile, laddove la situazione epidemiologica dovesse migliorare, prevedere nelle prossime settimane delle riaperture mirate già prima della fine di aprile e senza un nuovo decreto, basterà infatti una semplice deliberazione del Cdm».
Insomma, centrodestra di governo vincente? Ricostruzione per la verità troppo generosa che dalle parti di Leu cercano subito di spegnere, parlando di «imbarazzo della Lega di Salvini a votare le misure anti Covid-19 in assoluta continuità con il governo precedente». Quindi, chi ha ragione?
Partiamo da un dato oggettivo: la zona gialla non esiste e quindi per tutto il mese di aprile l’Italia sarà o arancione o rossa. La possibile modifica delle misure passerà soltanto attraverso una verifica dei dati, che poi altro non è quello che dall’inizio ripete il premier Draghi, il quale anche nella conferenza stampa di venerdì scorso, a un Salvini che ripeteva che non era pensabile che si chiudesse l’Italia preventivamente per tutto il mese, rispose che sarebbero stati i dati a decidere le eventuali chiusure ed aperture. E in effetti il decreto varato ieri non fa altro che ricalcare quanto detto dal presidente del Consiglio una settimana fa.
Quindi su questo piano nessuna novità, o discontinuità. Riguardo, invece, il fatto che sarà il Consiglio dei ministri e non il ministro Speranza a decidere le possibili aperture, e da qui l’ipotesi di un commissariamento dello stesso, anche qui gli entusiasmi sembrano eccessivi. Infatti, non essendoci più zone bianche o zone gialle, ma soltanto arancioni e rosse, sarebbe stato quanto meno difficile continuare a prevedere in capo al ministero della Salute un potere decisionale riguardo il cambio di misure. Il decreto prevedendo ormai soltanto due colori ‘estremi’, cioè di massimo rigore, di fatto cristallizza la situazione in un contesto di emergenza.
Questo significa che l’allentamento rappresenta una condizione eccezionale, al di fuori della filosofia del decreto, e legata appunto ad eventuali dati positivi. Da qui la previsione di dover ricorrere a una procedura straordinaria, cioè quella di una delibera del CdM, ma probabilmente un nuovo decreto legge che allenti le misure, derogando da quello esistente. Perciò, è un’esagerazione, o quantomeno una forzatura, parlare di commissariamento di Speranza.
Diverso, invece, sarebbe stata se nel decreto fosse stato previsto un sistema automatico di abbassamento delle misure restrittive al raggiungimento di precisi parametri. In quel caso se tale potere fosse stato trasferito da Speranza, come è stato finora, al Consiglio dei ministri si sarebbe potuto parlare di commissariamento. Ma questo alla fine non è passato, lasciando per ora l’Italia chiusa.
Riflessioni a parte è evidente che ognuno cerchi di tirare la coperta dalla propria parte anche se il rischio, visto che rimane corta, è che alla fine tutti si scoprano e la verità sia evidente a tutti. Quella di un’Italia che rimanda ancora l’appuntamento con le aperture, che deve registrare il rallentamento delle vaccinazioni e che continua a trovarsi nella sempre più impellente necessità di prevedere ulteriori ristori per le ulteriori chiusure. E qui non c’è ricostruzione di parte che tenga.
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