CNEL 2020, Italia divisa: spesa sanitaria procapite 2.200 euro al Nord e 1.700 al Sud e nel Settentrione si vive 10 anni di più

ll rapporto per l’anno 2020 presentato dal CNEL sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Amministrazioni pubbliche centrali e locali alle imprese e ai cittadini disegna un paese pieno di disuguaglianze.

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I mancati investimenti dell’ultimo ventennio in servizi sociali, sanità, scuola e università, nonché nelle infrastrutture sono alla base delle criticità del sistema Italia, che l’evento pandemico ha semplicemente messo a nudo.

Una nazione piena di contraddizioni e differenze tra Nord e Sud che si è mostrata, in questo nefasto ventiventi, ancora strutturalmente dipendente dalla Pubblica Amministrazione.

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Una PA, che con grandi sforzi e molte divergenze territoriali, ha saputo dare risposte talvolta eroiche come nella sanità, tecnologicamente avanzate come nella scuola. Al tempo stesso, la relazione presentata all’attenzione del Parlamento racconta di servizi sociali che hanno arrancato, dove i danni sono stati limitati solo grazie a un intervento senza precedenti del privato sociale, attraverso il lavoro silenzioso di migliaia di organizzazioni di volontariato e di milioni di volontari.

Al di là dell’ingente intervento economico dello Stato, che è riuscito a evitare il default, l’emergenza sanitaria ha messo in luce, ulteriormente, criticità storiche che hanno finito per accentuare le disuguaglianze, le disparità e i livelli essenziali dei servizi pubblici.

Il dato più drammatico provocato dalla crisi pandemica è l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita: a Milano si vive fino a 3 anni in più rispetto a Napoli, e se si confrontano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche dell’Italia settentrionale allora l’aspettativa di vita diverge addirittura di 10 anni. Risultato di una spesa sanitaria pubblica pro capite molto più elevata al Nord rispetto al Sud (2.255 euro a Bolzano e 1.725 euro in Calabria).

La «fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni», come l’ha definita il presidente Draghi nella sua relazione programmatica, è frutto della mancanza di una visione di lungo periodo e la conseguente mancata programmazione da parte dei Ministeri di riferimento.

I numeri della relazione curata dall’Ente presieduto da Tiziano Treu, e realizzata con il contributo di 30 enti, parlano di un sistema che in Italia è rappresentato da 12.848 istituzioni pubbliche che si articolano sul territorio in 106.282 unità locali. Gli occupati nella PA sono 3.516.461. Le donne nella pubblica amministrazione nel 2017 hanno raggiunto i 2 milioni e sono la componente maggioritaria, pari al 56,9% del personale in servizio. Tuttavia permane un forte divario di genere nel raggiungimento delle posizioni apicali dove la quota femminile resta limitata al 14,4%, come nel 2015.

A pesare in modo quasi uniforme sul Servizio Sanitario Nazionale, lungo tutto lo stivale, è il cronico sotto dimensionamento degli organici rispetto alla dinamica della domanda di prestazioni, in particolare per quanto riguarda le professioni sanitarie non mediche, di cui soffre da almeno 12 anni. A ciò si aggiunge il recente dato sui nuovi pensionamenti anticipati a seguito della norma che porta il nome di ‘Quota 100’ dal 1° gennaio 2019 al 1° ottobre 2020, che secondo fonti governative sono stati in sanità pari a 11.897 unità, di cui 1.676 medici.

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Non più rosea la situazione dei servizi sociali. Il rapporto CNEL evidenzia che la spesa italiana per questi servizi è appena un terzo circa di quella media dei Paesi UE. In questo ambito le amministrazioni pubbliche centrali e soprattutto locali hanno manifestato tutta la loro fragilità e l’accentuata differenziazione territoriale che ha scaricato sulle famiglie ancor più pesanti oneri di cura, assistenza ed educazione.

La scuola e l’Università hanno retto bene all’emergenza sanitaria e, seppur tra mille difficoltà, hanno fatto il possibile per garantire la continuità didattica. Purtroppo le conseguenze del distanziamento peseranno notevolmente sull’apprendimento dei nostri ragazzi.

L’impatto del learning loss è stimata per gli studenti italiani in oltre il 30% con una ricaduta sul PIL dell’1,5% annuo per il resto del secolo. La relazione presentata al Parlamento racconta che il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni non ha un computer o un tablet a casa e la quota raggiunge quasi il 20% nel Mezzogiorno (470 mila ragazzi) (Istat). Le difficoltà tecnologiche sono dunque il primo ostacolo alla DaD (Censis). Sono altresì basse le competenze informatiche per 2 ragazzi 14-17enni su 3. Oltretutto, 4 minori su 10 vivono in condizioni di sovraffollamento abitativo.

Dall’analisi del CNEL emerge che dopo il Sistema Sanitario Nazionale, la pandemia da Covid-19 ha colpito duramente il sistema dei quasi 8.000 Comuni italiani, e degli altri enti locali (Province, Città Metropolitane e Unioni di Comuni), che costituiscono quel comparto della pubblica amministrazione più prossimo ai cittadini ed ai loro bisogni primari.

I Comuni maggiormente colpiti dalla pandemia Covid-19 sono quelli che dotati di elevata autonomia finanziaria si assumevano fossero meno vulnerabili e maggiormente in salute, che più di tutti hanno risentito delle minore entrate correnti stimate in media in 6,1 miliardi, pari a circa il 17%.

È stata definita, inoltre, una Mappa del profilo reddituale dei comuni italiani, con riferimento alle attività di impresa, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente privato, ed è stato analizzato il legame tra il profilo reddituale e il livello di povertà assoluta dei territori allo scopo di valutarne le variazioni causate dalla pandemia e il conseguente aggravio sulle spese dei comuni italiani impegnati nel supporto alle famiglie.

L’analisi ha rilevato che in corrispondenza di una diminuzione di un punto percentuale del reddito imponibile ai fini dell’addizionale IRPEF si osserva un aumento di 1,09 punti percentuali dell’incidenza della povertà assoluta. Dopodiché è stata analizzata la relazione tra tasso di inattività, in aumento a causa delle particolari condizioni della congiuntura, e incidenza della povertà assoluta,  rivelando che quest’ultima cresce di 0,36 punti percentuale per ogni punto % in più del tasso di inattività.

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