Le spine del nuovo decreto Covid. Salvini preme per riaprire a metà aprile ma Draghi frena

di Dario Caselli

Approvare il nuovo decreto Covid prima di Pasqua e poi sperare che i dati consentano di allentare le misure, e così anche la tensione nella maggioranza. Questo il proposito della settimana che si va aprendo, l’ultima del mese di marzo ed anche l’ultima con il primo dl Covid varato dal governo Draghi.

E come detto già si pensa a quello successivo. L’ipotesi è che tra mercoledì e giovedì ci sia il CdM decisivo per mettere nero su bianco le regole che saranno valide dal 6 aprile in poi. Non sarà facile perché le divergenze tra le parti sono molte e le tensioni accumulate dall’ultima conferenza stampa del premier Draghi, lo scorso venerdì, hanno accresciuto i malumori interni.

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E’ la Lega con Matteo Salvini a dare voce a questi malumori, anche se la gagliardia dei primi giorni ha lasciato il passo a un approccio più contenuto e misurato. Insomma, dal ‘non voteremo il decreto nel CdM e in Parlamento’ a «dopo Pasqua nelle città italiane con la situazione sanitaria sotto controllo un piano di riaperture e di ritorno alla vita. Salute e lavoro posso, anzi devono camminare insieme». Un approccio più ragionato conseguenza, probabilmente, della fermezza di Draghi il quale ha ribadito che saranno soltanto i dati a decidere un eventuale allentamento delle misure.

Il nodo continua a essere quelle delle riaperture su cui il leader leghista non è intenzionato a fare passi indietro, ma soprattutto non vuole cedere alla cosiddetta ‘linea del terrore’ (Speranza-Franceschini) che punta a tenere tutto chiuso fino a fine aprile. Anzi fino a dopo il ponte del Primo Maggio. Piuttosto, ed è la linea sulla quale si è attestata la Lega, valutare dopo Pasqua con l’aumento delle vaccinazioni e con le chiusure se la curva dei contagi ha subito qualche miglioramento, e poi decidere il da farsi.

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Un’ipotesi che per la verità lo stesso Draghi non ha escluso, ma che almeno per il momento non vuole nemmeno mettere il tavolo. Il rischio, forse, è che promettere già da adesso che ci sarà un check a metà mese potrebbe limitare l’orizzonte di manovra dello stesso Draghi. Insomma, Mr Bce vuole lasciarsi le mani libere e dettare lui i tempi, piuttosto che farseli imporre dalla politica.

Comunque, ci sarà tempo per definire la strategia che resta, come ha spiegato chiaramente il premier nella conferenza stampa di venerdì, quella di attenersi i dati. Per ora, quindi, si procede senza zona gialla ma soltanto arancione e rossa, con un rafforzamento delle misure per le festività pasquali. Dopo, si continuerà così con la certezza che le scuole d’infanzia e primarie saranno in presenza. L’unica concessione che la ‘linea del terrore’ ha fatto. Poi, si vedrà.

Tra le certezze c’è il clima di cordialità ritrovato da Draghi e le Regioni che torneranno a vedersi oggi alle 17. Un incontro per superare definitivamente le incomprensioni della scorsa settimana, quando in Parlamento il premier bacchettò le Regioni per il fatto di andare in ordine sparso e di non attenersi alle indicazioni del piano vaccinale del governo. L’incontro servirà a mettere da parte le divisioni ma soprattutto rilanciare la campagna vaccinale che continua a rimanere per Draghi la priorità.

Parallela alla questione chiusure/aperture c’è quella dei sostegni. Il decreto è all’esame del Senato e questa sarà la prima settimana di discussione. Per ora sono previste le audizioni e per dopo Pasqua è stato fissato il termine per gli emendamenti. Però, giorno dopo giorno monta sempre di più la protesta contro un decreto che alla lunga non garantisce adeguati ristori come promesso.

Giorgia Meloni ha chiesto la governo di non lasciar cadere «nel vuoto l’allarme lanciato dal presidente di Confimprese, Mario Resca: il 30% delle imprese del commercio rischia di non riaprire senza un adeguato sostegno per superare l’emergenza». Ed è tornata a chiedere «di destinare al sostegno delle attività anche i 5 miliardi del cashback e della lotteria degli scontrini di Conte ma purtroppo, finora, nessuno ha risposto e i fondi per i ristori restano fermi a 11 miliardi».

Infine, il PNRR cioè il Piano nazionale di ripresa e resilienza ovvero il Recovery Plan. Sarà approvato questa settimana dal Parlamento ma si tratta soltanto di un primo passo. Infatti, quello che sarà sottoposto all’approvazione di Camera e Senato è quello predisposto dal governo Conte a cui in queste settimane le Camere hanno apportato le loro valutazioni e modifiche. Il vero Recovery, quello che Draghi presenterà in Europa, è lì da venire in tempo utile per la fine di aprile.

Una situazione che ha sollevato molte perplessità sia nella maggioranza e sia nell’opposizione visto che in fin dei conti il lavoro che sta facendo finora il Parlamento è su un documento vecchio e per giunta non il vero Recovery. Non solo dalle indiscrezioni il nuovo PNRR dovrebbe al massimo fare un velocissimo passaggio, visti anche i tempi stretti, non consentendo così al Parlamento il tempo necessario per valutarlo e nel caso emendarlo.

Da qui i malumori per una procedura oltre che troppo veloce anche poco trasparente, che rischierebbe di spedire in Europa un documento che alla fine il Parlamento non sarà riuscito a valutare con attenzione. Difficile, però, che cambi qualcosa. In altre epoche si sarebbe gridato all’attentato alle prerogative del Parlamento, ora ci si limita ai malumori. Anche questo è il segno del nuovo governo.

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