Iniziano le tre settimane di rosso per l’Italia. Si punta a vaccinare entro l’estate l’80 per cento degli italiani

Iniziano le tre lunghe settimane in rosso dell’Italia. Da oggi fino al 6 aprile la gran parte delle Regioni italiane saranno o rosse o arancioni, con il consueto blocco della mobilità interregionale e, per quanto riguarda le festività pasquali, con una sorta di lockdown sullo stile del modello utilizzato nel periodo natalizio.

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Misure drastiche e dure che lo stesso premier Draghi venerdì scorso aveva motivato con il fatto che l’epidemia è ancora lontana dall’essere debellata, e che quindi sono necessari ulteriori sacrifici. Nel frattempo, però, il governo farà di tutto per mettere a pieno regime l’unico strumento capace di contrastare il diffondersi della pandemia: i vaccini.

Nel week end il generale Figliuolo ha presentato il piano vaccini, che subito i cattivipensanti hanno giudicato copiato da quello di Conte. Il che peraltro sarebbe una notizia perché significherebbe che il governo Conte bis ne aveva uno.

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Il generale, capo della struttura commissariale che gestisce l’emergenza, ieri dagli schermi di Che tempo che fa ha ribadito che «è il momento della svolta o perderemo tutto, gli italiani devono essere straordinari»; continuando: «A marzo faremo riscaldamento poi dalla seconda decade di aprile ci saranno gradualmente 500 mila vaccinazioni. Alcune regioni ora arrivano a 100 150 mila, altre no: il mio compito sarà quello di portare bilanciamento anche su altre regioni e andrò di persona a vedere».

Obiettivo dichiarato del generale è di arrivare che «entro fine settembre almeno l’80 per cento degli italiani sia vaccinato». Sul piano operativo, poi, Figliuolo ricorda che si prevedono «tre linee: l’approvvigionamento e la distribuzione, di cui abbiamo parlato con gli interventi del Presidente del Consiglio; il controllo costante dei fabbisogno, quindi l’istituzione di una riserva di circa l’1,5 per cento dei vaccini, e infine soprattutto un tavolo di coordinamento quotidiano con il dipartimento della Protezione Civile, con le Regioni e con il ministro Speranza».

Sul piano della somministrazione dei vaccini aggiunge: «Ci sono due linee di azione: uno è nei grandi centri, come quello a Fiumicino, lì si fa economia di scala. Ci sono però dei posti dove non è possibile o conveniente. Pensiamo agli accordi che sono stati chiusi con quasi tutte le Regioni sui medici di medicina generale, gli odontoiatri, i medici dello sport e quelli aziendali. Quando parlo di accordi intendo anche la chiamata, la stretta di mano e il Whatsapp. A fare le carte ci penseremo dopo, intanto pensiamo a vaccinare e lo faremo con le priorità previste dal piano strategico del Ministero della Salute, che ha recepito quasi tutte le problematiche, specie dei più fragili, delle persone meno fortunate che hanno handicap fisici e psichici. E’ stato inserito che devono essere vaccinati i genitori, i tutori, i badanti e coloro i quali si occupano di queste persone. Sarebbe delittuoso non farlo».

Idee abbastanza chiare, il problema sarà renderle operative. Ma i vaccini rappresentano un aspetto della lotta alla pandemia, l’altro è quello economico. Le chiusure, infatti, ripropongono in primo piano il tema dei ristori e dei sostegni. Questa dovrebbe essere la settimana decisiva per il varo in Consiglio dei ministri del dl Sostegno. Lo ha ribadito la ministra Gelmini: «In settimana vareremo il decreto sostegno per le aziende, con 32 miliardi per le aziende e le partite iva e 12 miliardi per le Pmi. È l’ultimo miglio, non possiamo mollare».

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E proprio il tema delle risorse e delle misure risulta centrale. In tutto per ora sono 32 miliardi, il vecchio scostamento di bilancio votato a fine anno. Soldi che come ha precisato lo stesso premier Draghi sono stati già tutti impiegati, il che significa che le ulteriori chiusure di queste settimane imporranno risorse aggiuntive. Da qui l’annuncio, sempre venerdì dal Centro vaccinale di Fiumicino, della richiesta di un nuovo scostamento di bilancio contestualmente con la presentazione del Def.

Comunque, se ne riparlerà più avanti. Il problema adesso è definire il dl Sostegno risolvendo le tante questioni che rimangono aperte a partire dai ristori che ancora tante categorie reclamano, a partire dai lavoratori della Montagna. Ci sono poi le risorse necessarie a coprire il blocco dei licenziamenti, quelle per rifinanziare la Cig e il reddito di cittadinanza. Senza dimenticare le partite iva e quei tanti rimasti esclusi dal primo dl Ristori. Insomma, non sarà facile riuscire a chiudere tutte le questioni in tempo per questa settimana, ma si cercherà di fare l’impossibile perché rinvio sarebbe incomprensibile.

Sul piano politico, infine, questa è anche la settimana del nuovo segretario del Pd. Ieri, infatti, l’Assemblea nazionale ha eletto Enrico Letta che così prende il posto di Nicola Zingaretti tornato a fare il governatore della Regione Lazio. Un gran ritorno per l’ex premier defenestrato da Matteo Renzi.

Ritorno al passato che è anche sul piano della proposta politica, visto che tra le priorità Letta ha posto lo ius soli. Ipotesi che, come era facile attendersi, sia Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno bocciato con quest’ultima che, peraltro, nella sua risposta ha mandato una stoccata al leader leghista: «Italiani in ginocchio, famiglie e imprese spaventati ma la priorità di Enrico Letta e del Pd è lo Ius Soli. Poi ci chiedono perché Fratelli d’Italia non governa con questa gente…».

Temi a parte è evidente che l’arrivo di Letta si tradurrà in una ricerca di una maggiore centralità del Pd nell’alleanza di governo e soprattutto nel campo di centrosinistra. Addio, quindi, a Conte leader dei riformisti ma anche a un atteggiamento più remissivo. Si spiega così anche l’immediata archiviazione dell’ipotesi di un ritorno al proporzionale, che proprio Zingaretti aveva sostenuto, e il rilancio sul Mattarellum nella logica, come ha spiegato proprio Letta, di «una legge che restituisca il potere di scelta al cittadino e a due coalizioni di confrontarsi politicamente alle elezioni, che è quello che io cercherò di fare».

Si vedrà questo dinamismo dove porterà, per il momento l’obiettivo del Pd è frenare l’emorragia di voti verso il M5S. Ma la vera incognita riguarda il governo e cioè quali saranno le conseguenze di queste guerre di posizionamento, perché è chiaro che Draghi andrà avanti fino a quando converrà ai singoli partiti. E non appena non sarà più così si accenderà la scritta exit. E questo indipendentemente dalla solidarietà nazionale e dall’appello del Capo dello Stato.

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