Draghi non sarà il Salvatore della Patria. Meglio fidarsi dei nostri proverbi meridionali

Habemus Papam: papa Mario primo, della stirpe dei Draghi, Pontefice Massimo della Chiesa universale europeista e antisovranista; partorito dall’Europa Vergine e Madre per venire a redimerci dagli incapaci e condurci nel Regno dei cieli di Bruxelles; Vicario in terra italica del Dio Mercato, Stupor Mundi, l’Unto del Signore, il Messia, il Salvatore.

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Parafrasando san Francesco, ci verrebbe da dire: Laudato si’, mi’ Signore, per frate Mario, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

La notte, naturalmente, è quella della pandemia e della crisi economica che stiamo vivendo, per il resto è ritenuto il personaggio di più alto profilo, il Competente per eccellenza.

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Ma è proprio la sua competenza che preoccupa. La sua vita è sempre stata spesa per favorire i ‘mercati’, cioè la grande speculazione finanziaria internazionale.

Da Direttore generale del Tesoro ha promosso le privatizzazioni, cioè la svendita del patrimonio pubblico. Per ripianare il debito pubblico ha acquistato montagne di derivati scommettendo sugli utili che avrebbero potuto produrre. Invece, per lo Stato si sono rivelati strumenti finanziari a perdere, un pessimo investimento: il danno ammonta a non meno di quattro miliardi, usciti dalle tasche degli italiani e confluiti nelle casse delle amate banche. Ed è proprio una delle più fameliche banche d’affari, la Goldman Sachs, che lo ha voluto come responsabile europeo per concorrere al disastro economico e finanziario della Grecia.

Da governatore della BCE si è rifiutato di aiutare l’Italia e la Grecia, provocando il crollo dei rispettivi governi, alla guida dei quali sarebbero stati collocati due suoi ex colleghi della Goldman Sachs, mai eletti da nessuno: Monti e Papademos.

Può un simile personaggio, che è stato sempre dall’altra parte della barricata, dove si sono sempre curati gli interessi delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari e bancari, diventare il paladino degli interessi nazionali?

Può chi ha fatto parte dei più “prestigiosi” club internazionali (Gruppo dei Trenta, Bilderberg, Trilaterale) che hanno sempre lavorato per ridurre la politica a semplice serva dei mercati, ridare forza e prestigio alle istituzioni democratiche?

Può essere chiamato a salvare l’Italia chi ha concorso a rovinarla?

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In questo caso i nostri proverbi meridionali, serbatoio di saggezza popolare, possono rivelarsi illuminanti: in Sicilia, ad esempio, si dice che cu nasci tunnu un pò moriri quatratu (chi nasce rotondo non può morire quadrato); in Campania si preferisce un’immagine più colorita: Hai voglia ‘e mettere rum, chi nasce strunz’ nun po’ addiventà babbà (non occorre traduzione).

Osannato in ogni angolo dell’orbe terracqueo, annunciato dalle trombe e dai tromboni del circo mediatico, adesso siede sulla poltrona di Presidente del Consiglio per far credere agli italiani che lavorerà nel loro esclusivo interesse. Soprattutto, che lavorerà ricorrendo al ‘debito buono’ e non al ‘debito cattivo’. Come si faccia a distinguere il primo dal secondo probabilmente lo sa solo lui.

Già questo ci fa capire che non potremo mai uscire dal Sistema del Debito di cui Draghi si fa garante supremo in nome e per conto dei suoi mandanti, cioè della rete di banche commerciali e fondi speculativi in veste di creditori.

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E poi ci sono da spendere i soldi del recovery plan, sicuramente ascrivibili al ‘debito buono’. Ma i cantori di Draghi omettono di dire che i soldi del Fondo europeo, dal quale verranno presi i famosi 209 miliardi, sono sempre soldi italiani. Solo dopo avere rimpolpato col nostro denaro le casse del Bilancio europeo, la generosa Europa si degnerà di restituirceli, in parte a fondo perduto, in parte come prestito a lungo termine e con interessi bassissimi, ma pur sempre interessi e per di più su soldi nostri.

Come se non bastasse, l’Italia dovrà versare una quota maggiore nel Bilancio europeo rispetto agli anni precedenti, non solo per averne di più indietro, ma anche per sopperire all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

Nessuno ha il coraggio di ricordare agli italiani che Austria, Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia hanno addirittura ottenuto una riduzione del loro contributo annuo al Bilancio europeo per i prossimi sette anni. In barba alla pandemia, alla Brexit e alla crisi economica. Per l’Italia, al danno si è aggiunta la beffa.

Ma sono soldi di cui c’è urgente bisogno, questo è il mantra, omettendo di dire che sono soldi inseriti in un bilancio valido per sette anni e che, se tutto andrà per il meglio, verranno spalmati in quest’arco di tempo.

Se si divide 209 per sette il risultato è di circa trenta miliardi l’anno. Se si pensa che durante la pandemia lo Stato ha fatto ricorso a circa 160 miliardi di prestiti senza concludere nulla, neppure scalfire la gravità della crisi economica, ci si convince facilmente che stiamo parlando di briciole e che il trucco deve necessariamente stare da qualche altra parte.

I finanziamenti europei non serviranno per far ripartire l’Italia, ma per assoggettarla alle assurde condizionalità poste dall’Unione Europea, che ci dice come e per che cosa potremo spendere quelle somme. In altri termini, spetterà al governo fare bene i compiti per casa. E in questo Draghi potrebbe rivelarsi un maestro e forse potremo avere buoni voti. Ma dopo le catene ai piedi dell’Italia saranno ben strette e non sarà più possibile fuggire dalla gabbia europea per ritrovare un minimo di sovranità politica ed economica.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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