Ora c’è la folla per entrare nel governo Draghi. La Lega bussa ma il Pd dice no, FdI non voterà la fiducia

di Dario Caselli

Il primo giorno di consultazioni con i partiti regala a Mario Draghi più luci che ombre. Sia chiaro siamo ancora agli spiragli, la strada continua ad essere lunga e in salita, ma rispetto al giorno prima l’ex presidente della Bce può guardare con maggiore soddisfazione al futuro. E soprattutto al governo.

Anzi rispetto al primo giorno dove sembrava che nessuno volesse sostenere questo Esecutivo, adesso c’è un evidente accalcarsi per prendere i posti migliori. Presumibilmente la consapevolezza che dopo questo governo c’è il diluvio e la considerazione che comunque Draghi sarebbe andato avanti, anche se solo per pochi mesi, nella gestione del Recovery e delle altre emergenze ha spinto quasi tutti a più miti consigli.

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Del resto nessuno vuole rimanere escluso quando si aprirà la torta delle risorse dell’Ue. Comunque oggi si tratterà di affrontare i veri nodi politici con le consultazioni dei partiti maggiori a partire da Italia Viva e poi Fratelli d’Italia, Forza Italia e Pd. Insomma, un po’ di centrosinistra e un po’ di centrodestra. Mentre il gran finale sarà domani con la Lega e il M5S.

Proprio da quest’ultimo si registrano i primi cambiamenti e soprattutto le prime riflessioni. Era stato verso ora di pranzo proprio l’ex ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a parlare spiegando che «Il M5S ha il dovere di partecipare, ascoltare prima di assumere poi una posizione sulla base di quello che i parlamentari decideranno. Siamo la prima forza politica in Parlamento e il rispetto istituzionale viene prima di tutto». Altro che votazione su Rousseau o chiusura con il no alla fiducia, come annunciato da Vito Crimi mercoledì sera al termine della riunione congiunta dei gruppi.

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Movimento 5 Stelle
Luigi Di Maio e Vito Crimi

Ma la vera inversione di marcia la innesta Giuseppe Conte, che nell’ultima e improvvisata conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi di fatto offre a Draghi il sostegno del M5S.

Un intervento che probabilmente rappresenta il suo personale ‘predellino’ e che segna la sua ufficiale discesa in campo ponendosi alla testa dei Cinquestelle e come futuro federatore del centrosinistra: «Mi rivolgo agli amici del Movimento 5 stelle, io ci sono e ci sarò»; e riguardo il governo rassicura: «In queste ore qualcuno mi considera un ostacolo alla formazione di un nuovo governo, evidentemente questo qualcuno non mi conosce. I sabotatori cerchiamoli altrove, io auspico un governo politico solido e con la sufficiente coesione per operare scelte politiche, perché le urgenze del paese richiedono risposte che non possono essere tecniche».

Quello che si auspicavano sia Mattarella e sia Draghi e che consente di posizionare il Movimento sulla rotta del governo e non, come era sembrato all’inizio, lontano o addirittura in violenta collisione. In realtà le sacche di resistenza nel M5S continuano ad esserci e fino a domani la tensione resterà alta.

Giuseppe Conte

Per questo Beppe Grillo è in viaggio verso Roma e c’è da giurarci che nella giornata di oggi farà sentire la sua voce. Comunque lo scenario adesso vede la gran parte del Movimento dalla parte di Draghi. Più complicato capire come si tradurrà quell’appello di Conte al governo politico, sul quale converge anche il Pd che con Nicola Zingaretti si dice convinto che «un governo di questo tipo possa portare credibilmente alla fine della legislatura. Noi chiederemo un governo politico, con ministri bravi, competenti e in grado di misurarsi con le sfide che abbiamo davanti. Ma ascolteremo il professor Draghi, che farà sintesi e noi ne prenderemo atto».

La sensazione è che la compagine ministeriale possa includere anche esponenti politici dei partiti che faranno parte della maggioranza. Qualcuno azzarda che proprio i vari leader possano entrarvi. Non certo Matteo Renzi che ufficialmente si è tirato fuori ma sia Luigi Di Maio e sia Nicola Zingaretti potrebbero essere della partita. In sospeso anche Conte, che continua a smentire, viene accreditato di un possibile ingresso. In realtà tutte discussioni premature che non tengono in considerazione lo stesso Draghi, che proprio su mandato di Mattarella ha avuto il compito di formare un governo che non abbia connotazioni politiche.

Peraltro, nelle prime consultazioni l’ex presidente della Bce non ha scoperto le carte e si è limitato a prendere appunti per suggerimenti ed idee. Ecco perché è possibile che alla fine questi appelli cadano nel vuoto e siano vanificati da una compagine ministeriale tutta tecnica o istituzionale che dir si voglia, e rispetto alla quale chiaramente i partiti non potranno che sostenerla, visto che sembra ormai chiaro che dopo Draghi c’è soltanto il caos.

Rimanendo nel campo del centrosinistra Matteo Renzi gongola, soddisfatto come lui stesso ammette nella sua Enews: «L’Italia avrà un nuovo governo. Lo guiderà Mario Draghi. E questo ci dà un senso di tranquillità e di fiducia che già dalle prime ore sta producendo risultati sui mercati internazionali ma anche nelle istituzioni del nostro Paese. A tutti quelli che si chiedevano che senso ha questa crisi, chiedo di guardare la foto di Mario Draghi che parla al Quirinale: lì c’è la risposta al “Perché la crisi?”. Non è stata una crisi incomprensibile: l’Italia finalmente fa un salto di qualità».

Senza dubbio il leader di Italia Viva è il vincitore e può guardare con una certa soddisfazione ai prossimi giorni e soprattutto alle prossime mosse, visto che presumibilmente quello di far uscire di scena Conte e spianare la strada a Mario Draghi era soltanto la parte iniziale di un suo piano.

Vittoria e soddisfazione che, invece, non hanno alcuna intenzione di riconoscergli gli esponenti del Pd. Anzi Zingaretti ci va giù duro dicendo che «Renzi può rivendicare solo il casino di aver aperto questa crisi al buio, ma senza la nostra presa di responsabilità in queste ore, la situazione avrebbe rischiato di precipitare».

Andrea Orlando

Mentre il vicesegretario del Pd Andrea Orlando rincara la dose: «Non credo che il vincitore della crisi di governo sia Renzi. Se lui vuole, glielo facciamo credere». Veleno che però non risparmia lo stesso Renzi di gettare sui dirigenti del suo ex partito: «Ricucire con il Pd non è la mia priorità nè la loro, certo sono colpito dalla leadership del Partito democratico, molti non hanno capito che partita si stava giocando. Il Pd poteva essere il regista e invece ha fatto la parte dell’attore non protagonista». Viene spontaneo chiedersi come potranno lavorare in maggioranza a sostegno dello stesso governo.

Oltre il centrosinistra c’è il centrodestra che oggi vedrà impegnato nelle consultazioni due dei tre partiti principali: Fratelli d’Italia e Forza Italia. FdI ha ribadito il suo voto contrario perché come precisa Giorgia Meloni: «Non posso votare la fiducia a Draghi: ho sempre detto che non avrei votato la fiducia a un governo tecnico e che non sarei mai andata al governo con il Pd. Sicuramente la fiducia non la voto, sono contraria alla nascita di questo governo». Assicurando, comunque, che «se poi porterà provvedimenti per il bene dell’Italia li voterò».

Giorgia Meloni

Per la leader di Fratelli d’Italia non è «in discussione la serietà di Mario Draghi che non conosco, figuriamoci, ma di quelli con cui sta andando al governo perché non è che non li abbiamo già visti…ad esempio Matteo Renzi, che oggi tutti considerano un genio mentre è uno che gioca a poker con la vita delle persone ma all’Italia piacciono i furbi».

A chiusura netta di FdI corrisponde però un’apertura altrettanto netta da parte di Forza Italia, che oggi nella delegazione per le consultazioni con Draghi vedrà presente anche Silvio Berlusconi.

E tocca proprio al Cavaliere fare l’endorsement all’ex capo della Bce che rompe gli indugi tra gli azzurri: «E’ naturale da parte nostra guardare senza alcun pregiudizio al tentativo del Presidente incaricato, al quale proporremo – nella naturale prosecuzione di un atteggiamento responsabile che contraddistingue l’azione di Forza Italia – idee e contenuti».

Apertura che di fatto rappresenta il materializzarsi a sostegno di Draghi di quella “coalizione Ursula”, dal nome della presidente della Commissione Ue eletta proprio con il contributo decisivo dei voti del Ppe.

Coalizione Ursula all’italiana alla quale guarderebbe anche la Lega di Matteo Salvini, che però sembra avvicinarsi all’appuntamento di domani per le consultazioni con una posizione poco chiara e molto contraddittoria. Non è la prima volta che Salvini procede a zig zag, con accelerate e brusche frenate che gli sono costati 10 punti percentuali di consenso in un anno, dal 34 per cento delle europee al 24 per cento che gli danno i sondaggi.

Matteo Salvini

Dalla chiusura delle prime ore al governo Draghi con il richiamo forte alle urne, infatti l’ex ministro del primo governo Conte adesso dice che «se le nostre idee coincidono con quelle del professor Draghi, noi ci siamo. Il momento è tale per cui servono le energie di tutti, e quindi noi siamo a disposizione a metterci in gioco». Ed a Draghi arriva addirittura a porre un aut aut per entrare in maggioranza: «Draghi scelga tra Grillo e la Lega, dovrà scegliere tra Grillo e la Lega, se le richieste di Grillo sono la patrimoniale sui risparmi degli italiani, la nostra è l’esatto contrario».

Un cambio sollecitato, tra gli altri, dallo stesso Giancarlo Giorgetti che spiega che «se il governo sarà una fotocopia del governo precedente vorrà dire noi non ci staremo». Un’inversione che lo stesso ex sottosegretario del Conte I motiva così: «Il presidente della Repubblica e Mario Draghi hanno rivolto un appello a tutti i partiti per un governo di ‘unità’ nazionale’. E sarebbe sorprendente che non venga ascoltato il primo partito in Italia – vedi Supermedia sondaggi di ieri – che amministra 14 Regioni su 20 e che rappresenta di fatto il blocco sociale dei produttori in Italia. Se si volesse far nascere un governo senza questa gamba mi sembra evidente che sarebbe un governo zoppo».

La realtà però è più complicata visto che già al Pd arriva una frenata con le parole di Andrea Marcucci, capogruppo al Senato: «Immagino che per Salvini, campione in Europa della lotta sovranista contro il Recovery plan, non sia facilissimo in Italia salire sul carro di un governo che dovrà gestire quelle risorse. In questi anni il leader della Lega si è distinto per una battaglia all’ultimo sangue contro le istituzioni europee, non vedo le condizioni per un appoggio al governo che sta nascendo».

Contraddizione e confusione che non sfugge a Giorgia Meloni, la quale ammette: «Non capisco la posizione di Salvini quando dice ‘Draghi scelga tra Lega e M5S’. Ma perché, il PD va bene? La Boldrini e Leu vanno bene? Qualcosa mi sfugge, glielo chiederò quando lo sento».

Dubbi, incertezze e giochi di specchi che dureranno ancora per qualche giorno. Poi il quadro dovrebbe essere più chiaro, soprattutto in vista del secondo giro di consultazioni che Draghi potrebbe avviare all’inizio della prossima settimana con coloro che avranno espresso il proprio sostegno al governo. Allora si capiranno le vere intenzioni del presidente incaricato e anche che forma prenderà il suo governo. E di certo non mancheranno le sorprese.

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