Conte getta la spugna. Pronte le dimissioni, il Quirinale in campo per risolvere la crisi

L’appuntamento è tra poche ore, alle 9, quando a Palazzo Chigi andrà in scena l’ultimo atto del governo Conte bis. Un Consiglio dei ministri, stranamente convocato di mattina, che servirà a certificare le dimissioni del premier Giuseppe Conte. Dopo il presidente dimissionario salirà al Quirinale per rimettere nelle mani del Capo dello Stato il mandato ed aprire ufficialmente la crisi. Da quel momento si accenderanno le luci lì sul Colle più alto per cercare nel più breve tempo possibile una soluzione a quella che molti speravano fosse una crisi pilotata e che invece sarà tra le più classiche crisi di governo al buio, dalla quale qualsiasi risultato potrebbe uscire. Anche le elezioni anticipate.

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Alla fine, quindi, la linea Maginot che Conte aveva eretto a difesa del suo governo è franata. Le pressioni di Pd e M5S hanno avuto la meglio, convincendo un recalcitrante Conte che fino all’ultimo ha cercato disperatamente di evitare il passaggio delle dimissioni. E il caso vuole che tutto questo avvenga ad una settimana esatta dalla risicata fiducia ottenuta in Senato.

Sembrava che da quel risultato, come aveva spiegato a Repubblica Franceschini, il governo dovesse ritrovare slancio e partire. Invece, quei 156 hanno rappresentato il punto di approdo del Conte Bis e questo perché alla fine i famosi ‘volenterosi’, quelli che avrebbero dovuto sostituire i renziani e consentire al governo di affrontare i successivi passaggi dal patto di legislatura al rimpasto fino alla nuova legge elettorale, non si sono mai materializzati. Tutti ne hanno parlato ma nessuno li ha mai visti.

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E così alla fine Conte si è dovuto arrendere alla realtà, quella in particolare dei numeri visto che proprio questi sarebbero serviti a breve, giovedì per l’esattezza, per approvare la relazione del ministro Bonafede a Palazzo Madama.

E con i soli 156, qualora il governo fosse riuscito a metterli insieme, il governo non sarebbe andato da nessuna parte visto che in questo caso ce ne sarebbero dovuti almeno 161. Il finale, allora, sarebbe stato l’uscita di scena di Bonafede e poi dello stesso governo visto che il Guardasigilli è anche il capodelegazione del M5S. Un boccone troppo amaro da digerire per un movimento che in questa legislatura ha inghiottito qualsiasi cosa, mandando all’aria valori e principi pur di governo.

Ecco, che allora Conte ha deciso di fare il passo indietro con l’impegno però di farne due in avanti o sarebbe meglio dire tre visto che la prospettiva è quella del Conte ter. Su questo tutta la maggioranza, o meglio quello che ne rimane dopo la defezione di Italia Viva, ha messo le cose in chiaro: Conte è un elemento ineludibile e da lui bisogna partire.

Giusto si parte con Conte, il nome che senza dubbio le delegazioni dem e cinquestelle faranno al Quirinale nel corso delle consultazioni. Ma sarà anche il punto di arrivo? E’ questo il tarlo che arrovella Conte e che fino ad ora lo aveva spinto a resistere alle richieste di dimissioni.

Nicola Zingaretti

Certo, Nicola Zingaretti ha spiegato che il Pd è «con Conte per un nuovo governo chiaramente europeista e sostenuto da una base parlamentare ampia, che garantisca credibilità e stabilità per affrontare le grandi sfide che l’Italia ha davanti».

E così anche Vito Crimi ha chiarito che il M5S «è convintamente al fianco del presidente Conte in questo momento estremamente difficile per il Paese. Siamo la colonna portante di questa legislatura: come sempre ci assumeremo le nostre responsabilità, avendo come riferimento il bene dei cittadini, e ci faremo garanti dei passaggi delicati che attendono la nostra Repubblica».

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E pure Roberto Speranza non ha mancato di far sentire la sua voce per dire che «Giuseppe Conte è la persona giusta per guidare il Paese in una fase così difficile. Sono al suo fianco». E queste saranno le cose che presumibilmente da mercoledì ripeteranno al presidente della Repubblica. Ma il nodo per Conte sarà nuovamente dimostrare di avere i numeri, di avere quella «base parlamentare ampia che garantisca credibilità e stabilità» come ha detto Zingaretti.

Il premier Conte e il ministro Speranza

Conte sarà in grado di dare queste assicurazioni al Capo dello Stato? Anche perché questa volta l’ex premier non troverà un silente Mattarella, ma un presidente della Repubblica nel pieno della funzione che in questo caso gli assegna la Costituzione e cioè quella di garantire un governo stabile a questo Paese. E ancora di più necessario se questo Paese sta vivendo la più grave tragedia dalla Seconda guerra mondiale in poi.

E in tutto questo parlare è assordante il silenzio di Matteo Renzi, colui che per primo aveva chiesto che si aprisse una crisi formale e che sempre per primo aveva lanciato la proposta di un Conte ter. Viene da chiedersi se ormai questa proposta non sia troppo vecchia e Italia Viva sia già orientata verso una nuova soluzione. Quello che al momento filtra da Italia Viva è la conferma della compattezza dei gruppi e che tra oggi e mercoledì questi si riuniranno per decidere la strategia per i prossimi giorni.

Nessun riferimento, quindi, a un Conte ter. Su cui certamente non ci saranno né l’Udc e nemmeno i tre senatori di Cambiamo, la creatura politica di Giovanni Toti. Tutti guardano a un Esecutivo di unità nazionale, che chiaramente non contempla Giuseppe Conte. Un governo a cui guarda anche Silvio Berlusconi nella consapevolezza che «la strada maestra è una sola: rimettere alla saggezza politica e all’autorevolezza istituzionale del Capo dello Stato di indicare la soluzione della crisi, attraverso un nuovo governo che rappresenti l’unità sostanziale del paese in un momento di emergenza oppure restituire la parola agli italiani».

Meloni, Salvini e Tajani

Posizione che rischia di incrinare l’unità del centrodestra su cui punta Matteo Salvini che per oggi ha convocato un vertice con tutti i partiti della coalizione, e questo per «mostrare compattezza». Compattezza che non sarà facile da trovare considerando che da Fratelli d’Italia Giorgia Meloni continua a ribadire che «la via maestra da seguire per dare alla Nazione un governo forte, coeso e autorevole rimangono le elezioni».

Ecco, altro che crisi pilotata. Qui è buio pesto e il rischio che in fondo la luce sia quella delle elezioni nessuno può escluderlo. Per il momento si parte oggi con le dimissioni di Conte poi si vedrà. Mattarella si porrà senza dubbio tempi stretti per risolvere la crisi e tentare già nel week-end di conferire un incarico. Ma è chiaro che se il week-end dovesse passare senza esito allora l’ipotesi di un ritorno alle urne sarebbe molto probabile. E qualcuno azzarda anche una data, l’11 aprile.

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