M5S, la poltrona val ben un Mes. La triste parabola dei Cinquestelle…cadenti

Alla fine è prevalsa la voglia di sopravvivere; o piuttosto quella di difendere la poltrona, ma forse in questo caso sarebbe meglio dire lo scranno da parlamentare. Protagonista il M5S che ieri nell’Aula della Camera e poi in quella del Senato, rispetto alle previsioni, ha dato un mandato pieno al premier Conte in vista del Consiglio europeo di oggi e domani sulla riforma del Mes.

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Quella che nelle previsioni doveva essere una fronda di quasi sessanta parlamentari, certificata con tanto di lettera ai vertici del M5S, si è ridotta a poco più di una decina di unità.

A conferma che la paura che il voto contrario innescasse la crisi di governo e poi le elezioni ha avuto la meglio. L’ennesimo passo indietro di un Movimento che ormai sembra conoscere un’unica mossa, quella del gambero.

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A dir la verità era abbastanza prevedibile che questo sarebbe stato l’esito del passaggio parlamentare, soprattutto dopo che il Quirinale aveva fatto filtrare attraverso i giornali quale sarebbe stata la reazione a un cedimento della maggioranza su questo tema: il rapido ritorno alle urne, probabilmente non appena approvata la legge di Bilancio. Quindi nessuno spazio per ulteriori governi, dritti al voto.

La fronda nel M5S è passata da 58 a 15. Il monito del Quirinale sulle elezioni subito ha avuto effetto

Movimento 5 Stelle
Luigi Di Maio e Vito Crimi

Naturale che con questo scenario obbligato all’interno del M5S le pressioni dei vertici su frondisti avessero buon esito, assottigliando giorno dopo giorno la spaccatura e lasciando solo 15 parlamentari a mantenere alta la bandiera ideologica del ‘no al Mes’. Il destino adesso di questi 15, 2 al Senato e 13 alla Camera, è forse l’espulsione dal movimento.

Oggi via libera ai nuovi collegi elettorali. Così sarà possibile andare subito al voto

Probabilmente sul timore di un veloce ritorno al voto ha anche pesato il via libera che oggi le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato daranno al decreto del governo sulla ripartizione dei collegi elettorali. Un atto che con cui il governo ha adattato l’attuale legge elettorale al taglio dei parlamentari dopo la vittoria del referendum, consentendo così di poter andare subito al voto senza attendere una nuova legge. La classica pistola sul tavolo che adesso il premier Conte potrà utilizzare per blindare governo e maggioranza.

La giornata parlamentare però ha visto protagonista non soltanto il M5S nella sua retromarcia, ma soprattutto Matteo Renzi che al Senato ha occupato la scena mediatica, il dibattito è andato in diretta tv sulla Rai, con il suo personale duello con il premier Conte sulla governance del Recovery Plan. Dall’ex presidente del Consiglio è giunta l’accusa all’attuale inquilino di aver voluto commissariare la politica attraverso la costituzione di una struttura burocratica che gestirà i 209 miliardi del Recovery.

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Renzi prende in Senato la parola e annuncia il no di Italia Viva alla manovra se il Recovery Plan non cambierà

Matteo Renzi

Rivendicando, inoltre, il diritto dei parlamentari ad essere protagonisti nelle scelte che verranno prese in merito alla destinazione di questi fondi. Da qui la richiesta di una sessione parlamentare per discutere sul Recovery Plan. E in maniera chiara Renzi nell’Aula del Senato ha scandito due no alla legge di Bilancio: se conterrà una norma sulla governance e se prevederà l’ormai famosa fondazione sulla Sicurezza. In quel caso Italia Viva voterà contro la legge di Bilancio e quindi ad aprire formalmente la crisi di governo.

Minacce che sono giunte al termine di giorni di dichiarazioni sempre più infuocate contro il premier Conte, e che si erano sostanziate anche nella decisione di Italia Viva domenica notte di abbandonare la riunione di maggioranza convocata a Palazzo Chigi proprio sulla governance.

Accuse pesanti che però secondo molti troverebbero ampio consenso all’interno della maggioranza, visto che tanto nel Pd e nel M5S sono in molti a richiedere un maggiore coinvolgimento nei dossier governativi e in particolare quelli riguardanti il Recovery Plan.

Conte precisa: «Nessuna volontà di commissaria la politica. La governance non sarà nella manovra ma in un decreto ad hoc»

L’incognita adesso è come se ne esce. Per Matteo Renzi, ospite poi ieri a Porta a Porta, il premier Conte farà un passo indietro e metterà da parte la governance tecnico-burocratica con al vertice lo stesso presidente del Consiglio. Giuseppe Conte in un colloquio con l’Adnkronos a tarda notte invece spiega che si è trattato di «un colossale fraintendimento» e che questa struttura serve semplicemente per funzioni di monitoraggio». Da qui l’assicurazione che la politica non è stata «commissariata» e che la governance non farà parte della manovra di bilancio, ma piuttosto di un «decreto ad hoc» consentendo così al Parlamento di esprimersi.

Saranno i prossimi passi ufficiali, comunque, ad indicare quale sarà la via intrapresa. Quello che è certo è che stavolta Renzi non sembra voler bluffare, anche perché nella situazione stagnante dei sondaggi del suo partito non può permettersi di rimanere a guardare e cullarsi nelle posizioni di potere che si è ritagliato. In fin dei conti la parabola politica di Angelino Alfano e del Nuovo Centrodestra nella scorsa legislatura è un monito per chiunque.

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