Dello Stato come organismo sovrano, che trascende qualsiasi altro potere, soprattutto quello economico, non c’è più traccia. Le stesse leggi, che pure dovrebbero, almeno in democrazia, essere il risultato della volontà popolare, possono essere adottate solo rispettando i paletti delle leggi di mercato. Ormai, potrebbe apparire del tutto logico modificare il primo articolo della Costituzione prevedendo che «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti delle leggi di mercato».
Secondo la vulgata liberista lo Stato è un’azienda e, in quanto tale, non può rivendicare il potere sovrano di emettere moneta per conto del proprio popolo. Come un’azienda qualsiasi deve procurarsi la liquidità necessaria attraverso il prelievo fiscale o indebitandosi col sistema bancario. Normalmente ed irresponsabilmente fa entrambe le cose.
Con la sospensione degli accordi Bretton Woods del 1944 per decisione unilaterale del presidente statunitense Richard Nixon nel fatidico giorno di ferragosto del 1971, è finita l’epoca del gold standard e l’oro non è più la base per l’emissione di moneta.
La moneta, non più convertibile in oro, divenne “fiat”, cioè creata dal nulla e gli Stati avrebbero potuto approfittarne. Invece, paradossalmente, lasciarono che il potere sovrano di emettere-creare moneta venisse assorbito dal sistema bancario e dalle Banche centrali divenute totalmente indipendenti.
Nella nostra Assemblea costituente ci fu chi provò ad introdurre la sovranità monetaria in Costituzione, ma il tentativo fallì senza alcuna valida ragione. Si preferì pensare che rientrasse implicitamente nella più ampia sovranità popolare. Errore fatale.
Oggi ne subiamo le conseguenze e neppure la peggiore crisi del dopoguerra, induce il mondo politico a restituire allo Stato il potere sacrosanto di emettere moneta secondo le necessità della propria gente. Purtroppo ciò non è ritenuto possibile, soprattutto dopo il nostro ingresso nel tritacarne dell’Unione europea, nei cui palazzi abitano i cani da guardia del Sistema. Anzi, ci viene chiesto, per il nostro bene, di accettare i loro strumenti di tortura usuraia come il Recovery fund e il Mes.
Già negli anni trenta del secolo scorso il grande Ezra Pound aveva capito il trucco: «il debito è il sistema moderno per imporre la schiavitù».
Si potrebbe obiettare che alla schiavitù è doveroso opporsi e si potrebbe invocare il diritto alla ribellione di fronte allo stravolgimento delle garanzie costituzionali.
Chi potrebbe negare, infatti, che oggi, in nome della pandemia, viene persino negato il diritto, di potersi ricongiungere con i propri cari a Natale, neppure con chi è vecchio, malato e solo? Anche Gesù Bambino deve rinunciare a nascere, come da tradizione, a mezzanotte. Ma sappiamo che, nella sua divina bontà, non è incline alla ribellione. Eppure si scagliò contro gli usurai e li cacciò dal Tempio, fornendoci un esempio da imitare. La pazienza ha sempre un limite.
Nella Costituzione francese è previsto il diritto di «resistenza all’oppressione» (art. 2).
In Germania «Tutti i tedeschi hanno il diritto di resistere a chiunque tenti di rovesciare» il loro ordinamento «qualora non vi sia altro rimedio possibile» (art. 20).
I nostri padri costituenti provarono a mettere nero su bianco che «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino». Ma vi rinunciarono, forse perché, ottimisticamente, non prevedevano l’avvento di Giuseppe Conte e del suo improbabile governo “giallorotto”.
In Italia è sotto gli occhi di tutti la sospensione-soppressione dei fondamentali diritti individuali, politici e sociali. Tuttavia, non ci sono avvisaglie di una salutare ribellione, corale e determinata. Non solo, ma se si legge l’ultimo rapporto del Censis, sembra che gli italiani siano rassegnati alla perdita dei diritti garantiti dalla Costituzione, nella speranza di sopravvivere, individualmente ed egoisticamente, alla crisi pandemica ed economica: «Il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus».
E mentre il debito pubblico cresce inesorabile ed il Pil crolla spaventosamente, si diffonde la “paura nera” e lo Stato appare come unica ancora di salvezza.
Ma può lo Stato-azienda andare in soccorso della propria comunità nazionale se le risorse erariali diminuiscono a vista d’occhio per la demolizione di ogni settore produttivo?
Il ricorso all’indebitamento, oggi più che mai, appare come l’unica via d’uscita. Nei piani alti delle istituzioni europee gongolano per le nostre difficoltà e non vedono l’ora di commissariarci definitivamente. Inoltre, per sovraccarico di “solidarietà”, i prestiti che per noi saranno debiti, per loro saranno “crediti privilegiati”, da recuperare con assoluta precedenza ed alle loro insindacabili condizioni.
Del resto, i nostri rappresentati nell’Unione europea non sono lì per difendere gli interessi nazionali, ormai cancellati dal vocabolario politico, ma per farsi garanti del privilegio dei creditori. Basti pensare che il nostro ministro dell’Economia fa parte di diritto del Consiglio dei governatori del Mes, il cui obbligo statutario è quello di difendere gli interessi del creditore, cioè del Mes stesso. Se l’Italia dovesse farvi ricorso, il nostro ministro diverrebbe il nostro strozzino ai sensi di legge.
Potremmo concludere che ricorrono le condizioni per una ribellione virale e pandemica, e non è detto che prima o poi non arrivi. Ma il Censis ci ricorda che non è possibile, almeno per il momento. Gli italiani non sono ancora giunti al giusto punto di cottura.
Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali
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