L’impostura europea del Recovery Fund un’arma di ricatto per i non allineati

L’Unione Europea ogni giorno che passa si rivela sempre più un organismo sovranazionale fondato sul ricatto. Quando uno Stato si trova in difficoltà, mostra il ghigno sardonico dell’usuraio pronto ad offrire il suo “aiuto” con prestiti legati alle famigerate condizionalità già tristemente sperimentate in Grecia.

In altre parole, gli “aiuti” vengono dati solo se ci si sottomette alla volontà sovrana del “benefattore”, che pretende non solo la restituzione delle somme con relativi interessi, ma anche la facoltà di decidere come dovranno essere spese dal debitore. Lo Stato viene ad essere privato, di fatto, della sua sovranità non solo economica ma persino politica, in barba alla volontà popolare nazionale e alla tanto decantata democrazia.

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Nella vicenda del Recovery Fund, il solito meccanismo truffaldino è stato riveduto e corretto per far dimenticare il famigerato MES di cui, nella sostanza, conserva i difetti.

Stavolta il Fondo sarà inserito nel Bilancio comunitario di lungo termine 2021-2027 e sarà la Commissione europea ad “aiutare” gli Stati debilitati dalla crisi economica provocata dal Covid-19.

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L’Italia ha fortemente voluto il Recovery Fund ed è pure convinta, perché glielo hanno fatto credere, che sarà la maggiore beneficiaria quando entrerà in vigore, se mai succederà.

Prima, però, dovrà incrementare la propria contribuzione al Bilancio europeo attraverso l’emissione di titoli di debito, per avere denaro fresco, oppure aumentando la già intollerabile pressione fiscale. Più probabilmente farà entrambe le cose. L’Unione europea vi aggiungerà qualcosa di suo: altre nuove tasse, ad esempio su plastica e web, che però, a sentire Gentiloni, «non toglieranno nulla ai paesi membri» (sic!). Alla fine, ci verrà in soccorso in parte con somme “a fondo perduto” ed in parte con i soliti prestiti.

Ma questo prodigioso e salvifico meccanismo incontra il veto di alcuni Stati “sovranisti” come la Polonia e l’Ungheria. I quali, però, non ne contestano l’assurdità dell’impostazione economica, che deve sembrare loro irrilevante o poco pericolosa dal momento che dispongono di una propria moneta e di una propria Banca centrale.

Contestano invece, e a ragione, l’assurdità di una clausola di natura squisitamente politica che potrebbe avere ricadute economiche nefaste: il rispetto dello “Stato di diritto”.

Poco importa, secondo Bruxelles, obbligare gli Stati a versare il proprio denaro nelle casse della UE e correre il rischio di non poterne fruire in alcun modo.

Non tutti, infatti, potranno continuare a rivendicare per sé la condizione di “Stato di diritto” nel momento in cui verranno adottate politiche difformi dalle direttive della Commissione europea, che potrà distribuire patenti di legittimità politica a suo insindacabile giudizio.

Polonia ed Ungheria sanno di essere nel mirino dell’eurocrazia già da parecchio tempo e sanno pure il perché. Non si può essere sovrani a casa propria se le leggi approvate dai parlamenti nazionali possono non piacere nei palazzi di Bruxelles. Ad esempio, non sono mai piaciuti i tentativi di riformare il sistema giudiziario della Polonia e meno che mai le politiche anti-immigrazioniste dell’Ungheria. Si aggiunga che alla UE non piacciono in generale le politiche a protezione dell’identità nazionale nonché della propria tradizione culturale e religiosa. Per non parlare della difesa della famiglia tradizionale.

Bisogna far proprio il Pensiero Unico per rendersi accettabili ai piani alti dell’Europa. Quindi avanti tutta per le ONG e alle loro navi pirata cariche di clandestini; via libera alle richieste delle organizzazioni LGBT, che ormai godono persino della benedizione papale; alt ai nazionalismi, ai sovranismi, ai populismi e roba affine. Chi non si adegua è nemico non solo dell’Europa, ma persino della propria nazione e non merita gli “aiuti” della UE.

In Italia, in particolare, il colorito e sgangherato governo di sinistra, in nome del Pensiero Unico e del politicamente corretto, inveisce contro Mateusz Morawiecki, primo ministro polacco, che dice «No all’oligarchia europea», e Victor Orban, primo ministro ungherese, che sostiene che l’Unione europea, col suo Recovery Plan «vuole ricattare chi si oppone all’immigrazione».

Alla fine non sappiamo se salterà tutto, Bilancio europeo e Recovery Fund, per il veto di Polonia e Ungheria o si raggiungerà un compromesso, magari accettando la richiesta di Orban di introdurre «criteri oggettivi e la possibilità di fare ricorso» di fronte ad interpretazioni unilaterali da parte della Commissione europea sul rispetto dello Stato di diritto. Probabilmente si troverà una formula di compromesso, ma è sicuramente inquietante pensare che i popoli europei dovranno comunque sborsare soldi di tasca loro senza la possibilità di riaverli indietro se non accettano di dare il via libera alle Ong di Soros e di altri predatori finanziari che si fanno passare per filantropi.

Intanto, la BCE continua a sfornare miliardi creati dal nulla per acquistare titoli di Stato e tenere sotto controllo il famigerato spread. Non un solo euro, invece, agli Stati per aiutare l’economia reale che sta crollando paurosamente. Non è previsto dai trattati, ci dicono. E allora, perché non modificare i trattati? Neanche per idea! Può crollare il mondo, ma non il loro sistema basato sull’usura.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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