Meno carisma e più politica… per il Sud

di Rino Nania

In un Sud mortificato dalla inane classe dirigente bisogna trovare modalità aggiornate per esercitare i poteri politici e volti nuovi. I rappresentanti istituzionali, incalzati dalle aggrovigliate questioni in cui non pare che si possa ripartire in maniera sostenuta, devono ricercare quel ritmo, seppur lento, di chi seppur coltivando tanti timori perché non sembrano intravedersi in questo contesto misure adeguate, possano incanalare risorse di intelligenza e lungimiranza, così da ispirare, rilanciare ed innovare i giacimenti di cultura solidale e di imprenditoria sostenibile.

Nel Sud i limiti imposti e l’assenza di solidarietà non rappresentano soluzioni solide

L’attuale contesto, connotato da decrescita infelice, non pare proiettato alla fuoriuscita dalla covid-depressione. I limiti imposti, le quarantene e l’assenza di effettiva solidarietà con il Sud che provenga dalle istituzioni locali, regionali, nazionali ed europee non paiono presentare soluzioni solide. Sembra infatti che una nuova antropologia cominci ad insinuarsi, coltivando il pretesto per un ritorno agli anni ’60, in cui il giocoso divertimento (dopo il piano Marshall) appariva come lo sfogo di una generazione che sentiva il bisogno della distrazione ispirata da un intrattenimento all’insegna dell’andamento lento.

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Il pensiero comune si ritrova, in questa maniera, ad essere impolitico ed incapace a rintracciare l’acume visionario di chi immagina una prospettiva, in cui lasciare un segno durevole. Tutto il corso della discussione pubblica, infatti, non sembra abbandonare la diffusa precarietà, al punto che Bauman sembra riemergere in ogni angolo, come fiume carsico di un pensiero debole, in cui, invece, si dovrebbero fare scelte totali, in cui immettere copiosamente intelligenza e politica, coniugandole con fatti e materialità, costituita da investimenti e di idee da tradurre in riforme ed in voglia di fare.

Per dirla con le parole di Jean Baudrillard, che coglie nel segno, con la sua consueta sensibilità, laddove intravvede che «lo Stato e il potere vivono su una cresta molto, molto fragile, in filigrana, per così dire, di una società traslucida, come una finzione ordita da molteplici complicità. Si lasciano rigenerare da coloro che li combattono. La classe politica si fa mettere in esame e rigenerare dai giudici».

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E’ qui che risiede nel Sud lo stato di crisi, ossia racchiuso in quel corto circuito che non riesce più a riaccendere le speranze. Lo Stato ed il potere sembrano oggi appartenere a quella magistratura che è stata capace, grazie ad una sorta di famelica attività, di appropriarsi di logiche che valicano la giurisdizione.

Ovvero facendone della giurisdizione uno strumento utile a mettere sotto scacco ogni ganglio nodale dell’organizzazione civile in cui il fare legislazione, il fare amministrazione, il fare impresa, rimangano sotto scacco di un’ermeneutica applicativa e giudiziaria, destinata solo ad impadronirsi, mediante apposita condotta spregiudicata ed impudente, delle paure di tutti coloro che dovrebbero tenere la barra dritta e procedere, assumendosi le funzioni e la responsabilità all’insegna dei buoni insegnamenti costituzionali e delle buone regole di mercato, con l’idea precisa di ricercare e trovare soluzioni, così da disseminare fiducia, rassegnare impegno tesi a ridare vitalità ai singoli plessi della società.

Il quadro così, di contro, appare avviluppato su se stesso, senza che si possa rianimare attraverso la linfa vitale, fatta di fiducia, di una società che appare, nella sua composizione, priva di coraggio e invischiata in relazioni oscure che, da borderline, rischiano di sconfinare in una dimensione preda di malaffare senza più possedere gli anticorpi. Qui nel Sud si devono, e la necessità attuale e concreta è improcrastinabile, rafforzare ed incentivare quei corpi intermedi moralmente integri e promuovere, nel contempo, quelle riforme strutturali incisive, si vedano ad es. la materia dei processi civili (attraverso la semplificazione dei riti) e penali (partendo dalla separazione definitiva delle carriere dei magistrati tra inquirenti e giudicanti).

Solo così si sarà in grado di superare l’immane crisi di credibilità istituzionale, profondamente lesa come nel caso del fenomeno Palamara, così da inseminare e far crescere nei ruoli propri la politica quale fonte di legittimazione legislativa ed il potere acquisito, attraverso il consenso espresso dal popolo, in maniera trasparente, quale momento inviolabile dalle manovre di Palazzo.

Questo è il passo decisivo, che richiedono i tempi, che anche al sud deve portare a garantire una politica non svolta e declinata all’insegna dei carismatici De Luca di turno, ma in grado di ritrovarsi, attraverso una dovuta e necessaria torsione del sistema, in grado di costruire una classe dirigente concreta, non incline ad abdicare alle disfunzioni con riforme occasionali teleguidate da Berlino o Parigi.

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