Rauti (FdI): «Conte ha annunciato Fase 1bis e sul Mes espone l’Italia alla trappola ‘strozzina’ della Troika»

L’emergenza Coronavirus, con la questione della riapertura che ha lasciato molti scontenti ma anche i riflessi politici che questa epidemia sta determinando. E soprattutto l’Unione europea che in questa tempesta sta dimostrando limiti di tenuta e anche di prospettiva. Ne abbiamo parlato con il vicepresidente vicario del gruppo al Senato di Fratelli d’Italia, Isabella Rauti.

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Il governo ha annunciato la fase 2. Che ne pensa?

«Ritengo che la riapertura non possa diventare un tema di propaganda politica, ma piuttosto il frutto di un ragionamento che tenga insieme due necessità vitali: riaprire il prima possibile e non vanificare gli sforzi fatti fin qui. Quella che ieri ha annunciato Conte è una fase 1 – bis perché nei fatti il Paese continua a rimanere chiuso e, soprattutto, alcuni settori sono stati condannati a morire e quanto previsto è insostenibile sia sul piano sociale che sul piano economico. Come ha sostenuto anche Giorgia Meloni, non è accettabile la scelta di riaprire le attività produttive per settori e lasciare fermi per molte settimane interi comparti economici, esponendoli a una chiusura quasi certa. Il criterio doveva essere un altro: chi può garantire le norme anti-contagio e la sicurezza dei lavoratori deve poter riaprire. Sarebbe stato opportuno rovesciare il paradigma, cioè consentire la riapertura a chi può garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, che significa distanze di sicurezza, sanificazione del luogo di lavoro a spese dello Stato o con contributo diretto a chi sostiene le spese. Naturalmente la premessa di fondo è la responsabilità dello Stato di creare per le Aziende le condizioni economiche necessarie per riaprire e sostenere anche i costi della riapertura e per tornare a lavorare in sicurezza».

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Venerdì scorso alla Camera sull’ordine del giorno di Fratelli d’Italia firmato da Giorgia Meloni contro l’utilizzo del Mes abbiamo assistito alla saldatura tra Pd e M5S contro questo odg. Ma allo stesso tempo il voto a favore di 7 deputati Cinquestelle. Conferma che il Mes è un tema divisivo per la maggioranza…

«Questo voto rappresenta il termine del processo di mutazione genetica del M5S. Erano entrati in Parlamento per aprirlo come una scatoletta di tonno e oggi dimostrano di essersi venduti sia il tonno che la scatoletta. E’ il degno epilogo di un movimento che ha fatto della demagogia la sua fonte di ispirazione e la sua guida e che adesso si ritrova a scodinzolare al guinzaglio del Pd. La parabola è chiara: dall’anticasta al ‘mi tengo la poltrona’ e per farlo sono disposti a svendere l’Italia e ad accettare pure il MES che avevano sempre detto di non volere.  Dall’altro lato questo voto ha confermato che il governo Conte ha intenzione di utilizzare il Mes, il che significa esporre gli italiani alla trappola ‘strozzina’ della Troika e commissariare la nostra economia. Per mesi il governo ha raccontato che l’unica opzione erano gli eurobond ma dal Consiglio europeo l’Italia ha ricevuto solo porte in faccia e non ha il coraggio di ammetterlo. Il Recovery fund, di cui si parla in queste ore, non è altro che l’ennesima presa in giro perché al massimo sarà sostenuto attraverso prestiti, e quindi non debito comune europeo, ma soprattutto arriverà tardi. Invece le imprese e le famiglie hanno bisogno di aiuti subito e non degli annunci senza seguiti che sembra la strategia seguita da questo governo».

Torniamo indietro. Che opinione si è fatta dell’attacco del premier Conte in diretta tv ai leader dell’opposizione Meloni e Salvini? Un episodio di cui non si ha memoria nella storia repubblicana, nemmeno nell’epoca berlusconiana. Anche lei ritiene che sia l’ultimo di una serie di azzardi nella strategia comunicativa di Conte?

«L’attacco che il premier Conte ha fatto in diretta tv, utilizzando uno spazio che interessava al Paese intero per sapere quando sarebbe tornato a lavoro e quando sarebbe potuto uscire, è stato un atto di prepotenza e un’azione volgare senza precedenti. Al di là dell’assenza di senso di misura e di opportunità il premier ha utilizzato la polemica per oscurare il cocente fallimento dell’Italia alla riunione dell’Eurogruppo, rispetto alla quale il governo è entrato sostenendo no Mes e sì eurobond, e poi ne è uscito sottoscrivendo un accordo che prevede esattamente il contrario e cioè sì Mes e no eurobond. Inoltre, il premier aveva l’esigenza di coprire la rissa interna alla maggioranza di governo, spaccata proprio sulla tematica del Mes. Era chiaro che quell’attacco non potesse non scatenare una nostra reazione di difesa rispetto ad un atto prepotente e di slealtà politica e istituzionale, visto che FdI sin dall’inizio dell’emergenza, in ogni atto, riunione e circostanza ha sempre dimostrato compostezza, senso di responsabilità e spirito collaborativo. Ma l’attacco del premier alle opposizioni ed il rifiuto di ogni nostra proposta, rivela che il governo non aveva nessun interesse alla nostra responsabile disponibilità».

Sul MES si sta concentrando tutto lo scontro politico.  Soprattutto stanno emergendo due visioni di Europa in Italia: una, quella della sinistra mondialista, che da sempre accarezza i poteri forti e l’Alta Finanza e punta al superamento delle identità nazionali e degli stessi confini nazionali; e un’altra, quella legata alla destra, che parte dalle identità nazionali per costruire un’Europa delle nazioni che da queste tragga la propria forza e anche ragione di esistenza. Che ne pensa?

«La questione Mes ha radicalizzato uno scontro antico e di fondo basato su una differente visione dell’Europa e su una percezione diversa dell’Unione Europea. Noi apparteniamo ad una storia che ha sempre avuto una visione europeista intesa come Europa dei popoli, che si richiama alle radici cristiane dell’Europa, che si rifà alle identità nazionali ed alle ‘piccole patrie’ comprese e superate dall’identità nazionale. Insomma, l’Europa delle Nazioni e dei Popoli e non quella realizzata dall’Ue ovvero l’Europa delle banche, delle euroburocrazie, dei tecnocrati e dell’Alta Finanza. L’Unione europea ci ha deluso ed è evidente che dopo questa emergenza pandemica bisognerà disegnare un nuovo tipo di Europa secondo un modello di confederazione di Stati nazionali in grado di rispettare la sovranità e gli interessi nazionali. Comunque la si pensi tutti devono ammettere che l’epidemia ha segnato il fallimento mondialista e ha rivelato la fragilità della globalizzazione e del ‘turbo globalismo’. Per noi di Fratelli d’Italia bisogna ripartire da ciò che non abbiamo mai abbandonato ovvero la Tradizione, le tradizioni, la Nazione, lo Stato e la Patria che sono il perimetro necessario per costruire una comunità politica organizzata».

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Qualcuno dice che questa crisi sarà anche un esame di maturità per l’Europa da cui potrà uscirne più forte o invece sonoramente bocciata. Ma anche che è sempre più evidente la spaccatura tra il Sud e il Nord dell’Europa. L’Ue sopravviverà al Coronavirus?

«L’Unione Europea potrà sopravvivere se darà concretezza economica e coerenza politica ad uno spirito di solidarietà che fin qui è stato assente a livello europeo. Anche in questa emergenza, come in altre situazioni diversamente critiche, penso – ad esempio – alla questione mediorientale, alla irrisolta vicenda libica ed all’emergenza migratoria , l’Ue ha dimostrato di non esistere e di non saper  funzionare. Quell’Europa onnipresente ed invasiva con le procedure di infrazione, l’austerity ed i vincoli di ogni sorta. Non ha dato risposte adeguate di fronte all’emergenza, soprattutto nella fase iniziale quando sembrava che il coronavirus fosse solo italiano e non europeo e non mondiale e pandemico. Siamo stati trattati come ‘i cugini poveri e malati’. Al di là di ciò il nodo di fondo è la spaccatura tra l’Europa dei cosiddetti rigoristi, in particolare la Germania, l’Austria e quel ‘paradiso fiscale’ che è l’Olanda, e dall’altra parte il Sud dell’Europa. Ancora non è chiaro a nessuno cosa contenga il più recente accordo del Consiglio Europeo in merito ai Recovery bond, obbligazioni garantite dal bilancio dell’Ue ma legate soltanto al debito contratto per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia. Quindi senza utilizzare il debito complessivo che rimane il punto di divisione tra i Paesi nordici e gli altri. D’altronde gli stessi Paesi rigoristi sono quelli che non vogliono le condizionalità del credito per l’attivazione del MES e puntano a portare a casa un piano insidioso come quello del MES che comporta un indebitamento per le economie più fragili. Il che sostanzialmente significa che dovremo restituire tutto con gli interessi e su tutto questo scenario possibile, aleggia lo spettro del commissariamento da parte della Troika». 

Finora i provvedimenti del governo non hanno portato i benefici annunciati. Cittadini, famiglie e imprese attendono ancora le risorse promesse. E in Parlamento qualsiasi ipotesi di collaborazione è naufragata. Di chi la colpa?

«Il governo ha investito più sulla comunicazione che sull’azione, arrivando ad annunciare sia provvedimenti non ancora scritti e definiti ma anche a ricorrere a frasi roboanti e ad effetto che non hanno portato i benefici annunciati. Il decreto ‘Cura Italia’, sul quale il governo ha posto la fiducia, mettendo così una pietra tombale al dibattito parlamentare e frantumando il sentimento di unità nazionale che si era comunque creato ed al quale le opposizioni avevano collaborato; la ‘Cura’ si è rivelata un cerotto, un pannicello caldo e non certamente quel trattamento economico di cui c’era e c’è bisogno. Ad esempio, fra i provvedimenti contenuti, come la cassa integrazione in deroga estesa a tutta Italia, i vari bonus, i fondi di garanzia per le imprese o il rinvio delle scadenze fiscali, finora i cittadini hanno visto arrivare poco o niente. Lo stesso, purtroppo, vale per l’annunciata ‘potenza di fuoco’ del decreto Liquidità che ha rivelato soltanto la potenza di un fiammifero, perchè a dispetto del nome le famiglie, le imprese e i lavoratori quella liquidità non l’hanno ricevuta. Inoltre, questo decreto nasconde un bluff, visto che i roboanti 400 miliardi (di cui 200 per il mercato interno e 200 per l’export) sono in realtà soltanto 2 miliardi con prestiti che hanno tassi di interesse non vicini allo zero, come dovrebbe essere nell’attuale situazione, ma con tassi di mercato. Alle imprese e al Paese non servono ulteriori debiti con le banche ma serve liquidità vera, garanzie reali e quote a fondo perduto. Servirebbero anche bot patriottici cioè titoli di Stato a lunghissima scadenza, a basso rendimento ma non tassati e non tassabili in futuro. Insomma, un bene rifugio».

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