Il Mezzogiorno può diventare davvero il motore economico dell’Italia
Il tanto vituperato – dalla sinistra falso-progressista, che non riesce a uscire dal mesozoico – Governo Meloni ha scalato il terzo gradino del podio di longevità dei governi della storia repubblicana, dopo i Berlusconi II e IV.
E, in considerazione del fatto che – nonostante il trascorrere del tempo e contrariamente a quanto accaduto ai suoi predecessori – l’esecutivo e i partiti che lo sostengono godono fra gli elettori di una stima ancora maggiore rispetto a quella di cui godevano al momento delle politiche del 2022, come conferma anche l’ultima rilevazione Agi-YouTrend della settimana scorsa, con Fdi che da solo ha la stessa percentuale dell’intero centrosinistra, pari al 30,3%. Ma, a mio avviso, deve fare attenzione al Sud, e non perché sia pregiudizialmente contro Meloni, tutt’altro.
Tant’è che il candidato governatore, attuale viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, designato con grande ritardo e inizialmente distanziato dal pentastellato Fico di non meno di 25 punti, oggi – anche grazie alla discesa in campo, come capolista di Fdi, dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – è staccato di soli 4 o 5 punti e può guardare con fiducia al «tempo delle urne».
Bensì perché, tra i dati allarmanti della Caritas – sulla povertà al Sud («il 18,5% delle famiglie meridionali non ha una vita dignitosa») e la paura che la situazione possa peggiorare a causa dell’aumento dei costi dell’energia e dell’inflazione – e quelli della Svimez, secondo cui il pur notevole incremento occupazionale registrato negli ultimi due anni e le promesse, che in parte restano ancora da mantenere, rischiano di allargare vieppiù il divario fra i territori e di accrescere il disagio sociale. Il che potrebbe ancora una volta rallentarne la crescita.
E tutto questo, purtroppo, a dispetto dell’immenso patrimonio di ricchezze naturali, storico-culturali e archeologiche che fanno dell’Italia meridionale un incomparabile scrigno di bellezze e potenzialità.
Il Mediterraneo come chiave di sviluppo e ponte con l’Africa
Basta pensare a quel Mediterraneo, fonte inestimabile di risorse alle quali la Zes e il Sud possono attingere se davvero – avendone tutti i numeri – vogliono fare da guida allo sviluppo delle Nazioni dell’Africa Settentrionale e del Medioriente, come da obiettivo del Piano Mattei, che per l’Africa rappresenta un progetto strategico di cooperazione allo sviluppo e d’investimento dell’Italia fondato su un approccio globale e non predatorio.
Per riuscire nell’intento, però, l’Italia del tacco – grazie alla «Zona Economica Speciale Unica», che copre tutte le regioni del Mezzogiorno per incentivare gli investimenti e lo sviluppo economico attraverso benefici fiscali, finanziari e semplificazioni amministrative – dovrà, dal punto di vista delle scelte programmatiche che la riguardano direttamente, decidere in prima persona a quali progetti partecipare e a quali no, senza che nessuno possa imporre rigidi automatismi sulla base di diktat più ideologici che economici, come è stato fatto finora.
Tanto più che, nel frattempo, abbiamo avuto modo di renderci conto di quanti e quali guasti abbiano prodotto l’ideologia del Green Deal, la «rivoluzione» climatica, le energie rinnovabili, le pale eoliche e le auto elettriche. Con la Von der Leyen che, alla fine, si è resa conto che è giusto cancellare lo stop alle auto a benzina dal 2035 e dire «sì» – anche per l’incessante pressing della Germania, volta a salvare le proprie aziende – ai carburanti hi-tech. E dire che le decine di miliardi di euro che abbiamo sacrificato all’altare dell’ideologia ecologista avremmo potuto investirle per lo sviluppo e la crescita dei singoli Paesi e dell’Europa.
È arrivata l’ora d’invertire la rotta
È arrivata, quindi, l’ora d’invertire la rotta rispetto a quel passato in cui le Regioni meridionali si sono limitate alla parcellizzazione degli interventi, anziché definire fra loro progetti strategici e integrati. Facendosi guidare più dalla «ratio» del clientelismo che da quella della programmazione strategica e unitaria. Il che ha fatto crescere i consensi, ma non ha offerto – né avrebbe mai potuto farlo – al Sud alcuna opportunità di crescita effettiva e duratura.
Personalmente, sono convinto che un Mezzogiorno specializzato nell’attività turistica, valorizzando il proprio patrimonio archeologico e museale e la sua offerta; capace di sostenere le preesistenze industriali e farne nascere di nuove, con il credito d’imposta della Zes Unica Sud; che incentivi ricerca e innovazione; con la collaborazione e l’azione congiunta di università e imprese e l’interazione virtuosa fra agricoltura, turismo, territorio, artigianato, cultura, giacimenti archeologici, intermodalità e porti, non avrebbe alcun problema e comincerebbe a intravedere quel futuro che, oggi come oggi, si fa fatica a scorgere.
Non sarà né facile né veloce e neanche gratis. Perché, prima, bisognerà stabilire le cose da fare e le opere da realizzare, a cominciare dalle infrastrutture necessarie e dai servizi: sanità, trasporti, Ponte sullo Stretto (i cui cantieri dovrebbero aprire entro fine anno), lavoro e sicurezza. E prima si farà, meglio sarà, per i figli e i nipoti. Anche perché non si può neppure sperare nella nascita e localizzazione, da queste parti, di insediamenti industriali con organici dai grandi numeri. Tecnologia e innovazione, purtroppo, hanno ridotto – e non di poco – lo spazio per i lavoratori.



 
                                    
