Dietro le vetrine identiche si celano sospetti di illegalità diffuse
Napoli è sempre stata un laboratorio politico e sociale, nel bene e nel male. Ma ciò che sta accadendo oggi con la proliferazione dei negozi di calamite e souvenir non può più essere archiviato come «folklore commerciale». È un fenomeno che cresce in modo anomalo, preoccupante, e che desta l’attenzione delle procure e delle forze dell’ordine.
Perché aprire decine di negozi identici, tutti con gli stessi prodotti a basso costo? Il sospetto – legittimo e concreto – è che dietro quelle serrande si nascondano reti di sfruttamento del lavoro nero, riciclaggio di denaro e canali che alimentano l’immigrazione clandestina. Non più il crimine che spara per strada, ma mafie in giacca e cravatta, sedute dietro scrivanie di legno pregiato e alto design, capaci di gestire capitali, connivenze e flussi umani.
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha fatto bene a tenere alta la pressione, chiedendo controlli fiscali, incroci di dati, verifiche sui permessi e sulle assunzioni. Difendere il Paese significa spezzare queste catene di illegalità, che non solo sfruttano i migranti irregolari ma distruggono anche il tessuto economico locale. E non è razzismo: è semplice difesa della legalità e del lavoro onesto.
La vera ipocrisia è dall’altra parte: un’opposizione che non esercita il ruolo di proposta, ma di sola denigrazione. Di fronte a un fenomeno che tocca la vita delle città, la sinistra si limita a dire «no»: no ai controlli, no alle ispezioni, no a ogni misura che cerchi di arginare i traffici. Ma le alternative? Nessuna. Un vuoto che stride con l’urgenza del problema.
Una diplomazia più dura
Se davvero vogliamo stroncare queste reti, non basta fermarsi alla vetrina del negozio di calamite. Bisogna andare a fondo, «fin dentro le ambasciate dei Paesi di provenienza», perché spesso è lì che nascono e si alimentano i canali illegali. Serve una diplomazia più dura, capace di stanare chi fa affari sull’immigrazione clandestina e sullo sfruttamento delle persone.
Chiudere un occhio per paura di sembrare «cattivi» non è progressismo: è vigliaccheria. Oggi, invece, chi governa si assume la responsabilità di azioni scomode ma necessarie. E se vogliamo davvero difendere Napoli, l’Italia e il lavoro onesto, dobbiamo denunciare senza paura e pretendere che le istituzioni vadano fino in fondo.