Premier ha il sostegno di Von der Leyen e dei falchi, Germania inclusa
Far passare il prima possibile la riforma europea sui «Paesi sicuri» per limitare l’impatto della sentenza della Corte di Giustizia Ue e mettere in salvo l’operatività del «modello Albania». Sarebbe questo l’obiettivo della premier Giorgia Meloni che rilancia: si cercherà «ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini». A confermare questa linea arrivano anche le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani che parla di «una sentenza che non convince per nulla» ma che avrà «effetti molto brevi e durata limitata».
La riforma in questione, avanzata dalla commissione europea lo scorso 20 maggio modifica, ampliandolo, il perimetro attuale di «Paese d’origine sicuro», puntando a «ridurre la pressione» sui sistemi di ricezione. Tra i risvolti pratici: la possibilità di espellere più facilmente i richiedenti asilo (anche verso Paesi non europei) e una maggiore discrezionalità per i 27 di stilare le proprie liste (il fatto che una persona transiti da un Paese definito sicuro potrebbe essere sufficiente per dichiarare «inammissibile» la sua richiesta di asilo).
Il sostegno dei falchi europei e l’appoggio della Commissione
In ambienti di FdI serpeggia un certo ottimismo sul fatto che la norma possa andare in porto entro fine anno. Su questo fronte, infatti, Meloni può contare sulla sponda non solo di Ursula von der Leyen ma anche dei cosiddetti ‘falchi’ sul tema migranti. Un gruppo nel quale da dicembre figura anche la Germania di Friedrich Merz e che annovera, tra i suoi membri, la Danimarca, presidente di turno dell’Ue. L’obiettivo della Commissione è chiudere l’iter entro dicembre.
In seno al Consiglio Ue serve, comunque, la maggioranza qualificata. E il nuovo regolamento dovrà passare le forche caudine dell’Eurocamera, dove il tasso di gradimento dell’esecutivo comunitario e di von der Leyen è ai minimi storici. «La sentenza della Corte Ue va in senso opposto alla designazione dei Paesi terzi sicuri la cui lista è stata recentemente varata dalla Commissione Ue – sostiene Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr al Parlamento europeo -. Questa lista ricomprende ovviamente anche il Bangladesh». Il paese più sotto i riflettori in Italia perché origine del maggior numero di sbarchi.
Missione diplomatica tra Turchia e Libia
È questo il contesto in cui Meloni vola in Turchia per incontrare il presidente Erdogan e il primo ministro libico Dbeibah. Un viaggio che ha al centro ancora una volta i flussi migratori. «Ricordando gli eccellenti risultati raggiunti in questo ambito con la Turchia», la premier sottolinea «l’opportunità di valorizzare le lezioni apprese applicandole anche per il sostegno all’azione del governo di Unità nazionale». In sostanza – si ragiona in ambienti della maggioranza – puntando sull’accoglienza dei migranti legali, bloccando gli ingressi degli illegali. Un approccio collaborativo con i primi e non collaborativo con i secondi.
La premier ribadisce poi l’impegno dell’Italia «per la stabilità, l’unità e l’indipendenza della Libia e il sostegno a un processo politico, a guida libica e con la facilitazione delle Nazioni Unite, che conduca ad elezioni». In Italia c’è chi interpreta le sue parole come la spinta a finanziare anche in Libia, come l’Ue decise di fare con la Turchia, centri per gestire in loco i migranti che puntano ad arrivare in Europa. Ma da Palazzo Chigi smentiscono questa ipotesi.
Medio Oriente e il pressing per la Palestina
Sul tavolo anche le guerre. A Istanbul Erdogan illustra alla premier la sua ricetta per il Medio Oriente: «Una soluzione duratura può essere raggiunta solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente con integrità territoriale, basato sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale». Ma anche a Roma cresce il pressing da parte delle opposizioni sul governo per il riconoscimento della Palestina.