La Consulta boccia il tetto agli stipendi della pubblica amministrazione

Aumentano le retribuzioni per magistrati, dirigenti e manager

La Corte Costituzionale boccia il tetto fisso di 240mila euro applicato ai dirigenti e ai manager pubblici dal 2014. Il limite massimo torna così ad essere parametrato al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione, che viene indicato dalla sentenza a 311.658,23, cioè all’ultimo aggiornamento fatto nel passato. L’effetto pratico è l’aumento della retribuzione per un migliaio di dirigenti pubblici di prima fascia, di magistrati e anche di manager di società controllate dallo Stato, Rai compresa.

Il governo studia un nuovo parametro

È molto probabile, però, che l’importo cambi ancora. Il governo starebbe infatti studiando una ricalibratura della retribuzione di riferimento che potrebbe essere adottata con un Dpcm o entrare nella prossima manovra con la Legge di Bilancio. Il superamento del tetto per gli stipendi della Pa, del resto, era stata ipotizzato poco meno di un anno fa in una intervista dal ministro della Pa, Paolo Zangrillo: l’idea era quella di realizzare un cambiamento nelle politiche retributive per attrarre talenti manageriali di alto livello e migliorare così l’efficienza e la qualità della Pubblica Amministrazione.

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A decidere intanto sono stati i giudici della Consulta che hanno di fatto cancellato il tetto a cifra fissa che era stato introdotto dal 2014 dal governo Renzi e che aveva ridotto lo stipendio dei dirigenti apicali e anche di alcuni magistrati.

La norma aveva tagliato ulteriormente quanto già deciso in precedenza dal decreto ‘Salva Italia’ del governo guidato da Mario Monti che nel 2011 aveva usato per la prima volta la scure per limitare il trattamento economico dei vertici della Pa ad una soglia omnicomprensiva – quindi considerando anche eventuali partecipazioni a gettone per altri impegni, retribuzioni per incarichi in società pubbliche, indennità per la partecipazione a commissioni – pari al trattamento economico spettante al primo presidente della Corte di cassazione.

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L’ultimo Dpcm che lo aveva fissato era del 2014, appunto prima della decisione del governo Renzi, che aveva indicato l’importo a 311.658,23 euro. I giudici della Consulta hanno ribadito che la previsione di un tetto retributivo per i pubblici dipendenti non contrasta di per sé con la Costituzione. Ma hanno valutato la decurtazione del 2014 come ‘significativa’ e soprattutto non temporanea. Ora questo parametro – viene stabilito – dovrà tornare alla norma del 2011 per essere definito con decreto del presidente del Consiglio, previo parere delle commissioni parlamentari competenti.

Perdita di temporaneità e risparmi minimi: le ragioni della Corte

Trattandosi di una incostituzionalità sopravvenuta – viene sottolineato nella sentenza – la declaratoria di illegittimità non è retroattiva e produrrà i suoi effetti solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale. Il nodo della costituzionalità al tetto ai dipendenti pubblici era già stato sollevato in passato. Ma nei primi anni di applicazione la Consulta non l’aveva considerata illegittima, perché aveva considerato la misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla situazione di eccezionale crisi finanziaria in cui versava il Paese.

Con il trascorrere del tempo, tuttavia, essa – secondo la Consulta – ha definitivamente perso quel requisito di temporaneità, posto a tutela della indipendenza della magistratura e necessario ai fini della sua compatibilità costituzionale. La Corte, che parte dal ricorso di un magistrato che si era visto richiedere indietro l’indennità per la partecipazione ad un organismo di autogoverno della categoria, ha verificato anche in concreto i risparmi di questa voce, previsti in 86 milioni, ha invece fruttato 4,5 milioni nel primo anno per arrivare ad un massimo di 18,9 milioni negli anni successivi.

Tanto da far pensare – chiosa la sentenza – che i dipendenti pubblici abbiano deciso di rinunciare ad incarichi aggiuntivi avendo raggiunto il massimale retributivo «con la conseguenza di disperdere l’apporto di elevate professionalità, ma senza realizzare apprezzabili risparmi». Ovviamente il Governo sta valutando l’impatto concreto della decisione della Consulta. E non è escluso che possa arrivare presto un nuovo Dpcm o si attenda la prossima Legge di Bilancio per una ricalibratura della retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione.

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