Giustizia, Anm e Md lanciano la sfida contro la separazione delle carriere

Di Pietro: «Riforma naturale e logica, considero assurde le critiche»

L’Anm non sa più cosa fare e dire per opporsi alla riforma della Giustizia del governo Meloni e si rivolta contro il guardasigilli Nordio, che l’ha firmata e che «trent’anni fa era d’accordo con noi» (avverso la separazione delle carriere). Vero, e lui non lo nega, anzi! «Ho cambiato idea dopo il suicidio di un mio indagato», afferma. Ma se ciò non fosse dipeso dal tragico evento, quale sarebbe stato il problema? Cambiare idea è lecito e talvolta utile a mutare la storia. Di più, James Russell Lowell, nel XIX secolo, sosteneva che «solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione». E Nordio è vivo, vegeto e non è uno stupido, anzi!

Ora si ritrova contro anche il Csm, che lo accusa di aver risposto alle critiche mosse nei suoi confronti dal sostituto procuratore della Cassazione Piccirillo. Ebbene, ha l’autorità, l’autorevolezza e il ruolo istituzionale per farlo, perché non avrebbe dovuto? Ma basta archeologia, passiamo all’attualità: la riforma della Giustizia, con i primi due «sì» di Camera e Senato, ha completato il primo tratto di strada.

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L’eredità di Falcone diventa legge

Al momento, quindi, l’eredità di Falcone – ovvero la separazione delle carriere, lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura (uno per i pm inquirenti e l’altro per i giudicanti) e l’Alta Corte disciplinare – è realtà. Così come il «no» ai ricorsi dei pm contro chi è assolto, lo stop alla carcerazione preventiva e l’introduzione in Costituzione del principio sacrosanto per il quale «i magistrati (che oggi godono di una sostanziale impunità, ndr) sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli alti funzionari e dipendenti dello Stato».

Di conseguenza, le toghe risponderanno personalmente dei propri errori di «dolo o colpa grave», che oggi sono a carico dello Stato. Nell’ultimo decennio, infatti, solo l’1,3% dei giudici è stato colpito da rimozioni per gravi illeciti disciplinari e, nell’ultimo triennio, solo 7 toghe. Il che è incomprensibile e lascia perplessi se si considera che la magistratura italiana non è mai stata un esempio di infallibilità.

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Tant’è che – stando al sito «errorigiudiziari.com» – dal ’91 al 2024 sono stati ben 32mila gli errori giudiziari (940 l’anno) e altrettanti gli innocenti finiti in custodia cautelare dal ’92 al 2024 (oltre 960 annui). Con una spesa complessiva dello Stato, tra indennizzi e risarcimenti, di 987 milioni e spiccioli, con una media di poco inferiore ai 29 milioni e 49 mila euro l’anno. E questo senza parlare dei tanti vecchi casi che ogni tanto tornano d’attualità perché non risolti o risolti male a tempo debito.

Separazione delle carriere e sorteggio al Csm

La riforma, quindi, colpisce pesantemente anche la sostanziale impunità dei magistrati. Il che non piace più di tanto agli ermellini. Stesso discorso vale per l’introduzione della separazione delle carriere fra pm inquirenti e magistrati giudicanti con lo sdoppiamento del Csm: uno per i primi e l’altro per i secondi, i cui membri (30, di cui 20 togati e 10 laici) sarebbero sorteggiati e non eletti. Il che piace ancora di meno, poiché significa togliere potere e influenza sul Csm alle correnti sindacali, mettendo un freno alle carriere senza meriti e di stampo clientelare.

Ora, però, come prevede la Costituzione, il provvedimento dovrà tornare nuovamente in entrambe le Camere per la seconda doppia approvazione definitiva, per la quale occorrerà il «sì» del 75% dei componenti delle due assemblee. Un obiettivo possibile in teoria, ma difficile nei fatti. La maggioranza di centrodestra è ampia, ma non tale da raggiungere i due terzi richiesti dalla nostra «Magna Charta». Per cui, salvo un miracolo «della moltiplicazione dei voti», sarà giocoforza ricorrere a un referendum confermativo nella prossima primavera.

Un notevole passo avanti, ma è ancora lunga

Antonio Di Pietro
Antonio Di Pietro durante una recente intervista al Tg1

Certo, il «sì» al Senato rappresenta indubbiamente un notevole passo avanti, ma «la strada» – nonostante i sondaggi continuino a rilevare che il 70% degli italiani approva la riforma, e l’ex pm di Mani Pulite Di Pietro parli di «riforma naturale e logica e considero assurde le critiche dell’Anm» – è ancora lunga e tutt’altro che agevole.

Nell’attesa delle altre due votazioni e dell’eventuale referendum, l’Anm ha già dato il via alla sua campagna elettorale «contro». E la «capa» di Md, Silvia Albano, manco fosse un leader dell’opposizione, ha definito l’esecutivo Meloni «governo anti-democratico». Un bel salto di qualità, alla faccia della terzietà dei giudici.

Difficile, alla luce della coincidenza degli avvenimenti giudiziari che si stanno susseguendo in questi giorni, pronosticare se l’inchiesta edilizia di Milano incentrata su Sala; quella nelle Marche con al centro il sindaco uscente di Pesaro e candidato a Governatore delle Marche, Ricci; quella sul deputato dem di Torino, Laus, accusato di aver pagato figli e collaboratori con fondi pubblici; l’indagine sui permessi edilizi del sindaco di Bologna, Lepore; la decisione della Cassazione sul caso Salvini e tutto ciò che avverrà da oggi in avanti – avranno o meno ripercussioni sul voto popolare per la riforma costituzionale.

La speranza è che, se sì, non siano quelle che si augurano l’Anm e il campo (santo), ma quelle «sognate» da Falcone nel 1991 e inserite nella riforma dal guardasigilli Nordio. Altrimenti questo Paese, anziché avanzare verso il futuro, continuerà a sprofondare in quel passato che è meglio lasciarsi alle spalle, restando il Paese dei diritti civili e non da guardie e ladri. Con le prime che hanno sempre torto e i secondi ragione.

Il rischio

Un rischio non da poco, denunciato sul «Corrierone» di sabato dal collega Verderami, dedotto dall’intervento in Parlamento dell’ex segretario e capocorrente del Pd, Franceschini, che avrebbe offerto – con il solito linguaggio criptico, suscettibile di facile smentita, poi puntualmente arrivata (avrebbe mai potuto confermare?) – alle toghe il contributo del Pd alla bocciatura della riforma in cambio di un loro salvacondotto per le inchieste in corso contro i Dem. Ha dimenticato, però, che i piddini potranno sì dire un nuovo doppio «no» (Camera e Senato) alla riforma del governo, ma al successivo referendum confermativo saranno gli italiani a votare.

Setaro

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