Referendum, la sinistra vota sì al rimborso spese: il jackpot se si raggiunge il quorum

Non solo democrazia: 2,5 milioni di buoni motivi per fare campagna

Ora è tutto più chiaro. Mi riferisco al perché del tanto attivismo di Landini e della Cgil, di Schlein e del Pd, ma anche dei 5 Stelle e di Avs per il raggiungimento del quorum (50% + 1) necessario alla validità dei cinque quesiti referendari relativi al Jobs Act e all’accelerazione dei tempi per la concessione della cittadinanza agli immigrati.

A parte, naturalmente, l’interesse politico, derivante da un eventuale successo del «sì» – che consentirebbe loro di dire alla maggioranza «avete perso, andatevene a casa» (Schlein, pare, stia già mettendo a punto un surreale governo con i 5 Stelle, come se si trattasse di elezioni politiche anziché di un referendum) – c’è un’altra opportunità, per Landini e la Cgil, in caso di raggiungimento del quorum.

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Un gruzzolo milionario per il comitato promotore

E, credetemi, non è una questione di poco conto, ma di una vera montagna di risorse: un euro per ogni firma raccolta fino a 500.000, tante quante sono le firme necessarie per ciascun quesito referendario. Secondo quanto previsto dalla Costituzione, a quorum raggiunto, vinca il «sì» o prevalga il «no», quei fondi andrebbero comunque a gonfiare le casse del comitato promotore.

E poiché i «business»–quesiti sono cinque, la cifra totale che lo Stato dovrà sborsare – ovviamente solo nel caso in cui abbia votato almeno il 50% + 1 degli aventi diritto – al comitato promotore, guidato dalla CGIL, sarà di 2,5 milioni di euro.

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Pensate che dispiacere per Maurizio il rivoluzionario se gli italiani, accogliendo l’invito del centrodestra, davvero – come sembra ormai certo – non si presentassero alle urne: si ritroverebbe, come si dice a Napoli, «cornuto e mazziato».

Oltre a rimetterci la faccia per la sconfitta e vedendo, così svanire il sogno, di strappare la segreteria del PD a Miss Elly, si vedrebbe sfuggire dalle mani anche il bel «gruzzoletto», indispensabile per coprire le spese sostenute per la campagna elettorale, senza doversi indebitare ulteriormente e magari rimpinguare un tantino le casse del sindacato.

Capito ora perché il cigiellino, approfittando anche del contributo – teoricamente «disinteressato», dato che non facendo parte ufficialmente del comitato promotore non parteciperanno comunque alla spartizione delle risorse a rimborso spese – degli altri componenti della compagnia di giro, si stia agitando così tanto?

Il paradosso dell’astensione selettiva

Intanto, però, da Schlein a Conte, da Bonelli a Fratoianni, fino alla Picierno – che da un lato sostiene che «non è corretto che uomini delle istituzioni invitino a non andare a votare», ma dall’altro confida al Corriere della Sera che «ritirerà solo due schede su cinque» (astendendosi, dunque, sulle altre tre, proprio come il centrodestra) – continuano a protestare contro quella teleMeloni che non esiste, ma che secondo loro «boicotta il referendum».

Senza rendersi conto che, più che gli inviti della maggioranza a disertare le urne, sono la loro inadeguatezza, le divisioni interne su cosa e come votare e – dulcis in fundo – le bugie e menzogne che stanno snocciolando in quantità industriale sul conto del governo, a mettere in discussione l’esito del referendum e a precarizzare il loro futuro politico.

La tardiva scoperta del calo salariale

Tant’è che Landini – segretario generale della Cgil dal 2019, dopo esserlo stato della Fiom dal 2010 – solo oggi si è accorto che dal 2008 i salari reali sono calati dell’8,7%.

E, insieme all’opposizione politica, nonostante la lieve ripresa del 2024 che secondo l’Istat ha fatto crescere i salari più dei prezzi e nonostante i tanti scioperi realizzati in questi primi mesi del 2025 che hanno alleggerito le buste paga, attribuisce la responsabilità di tutto alla Meloni, al governo solo da due anni.

Le vere responsabilità

Anziché ai dem, grillini e verdi, che hanno governato ininterrottamente – peraltro senza mai passare per le urne – dal 2011 al 2022, periodo in cui queste disuguaglianze sono cresciute e che, secondo il rapporto Censis, oggi mettono in difficoltà il ceto medio, senza che lui fiatasse.

E continuano ad accusarla di non fare nulla per i lavoratori e di opporsi all’introduzione del salario minimo legale, quando non ha mai protestato con i suoi amici al governo.

O con se stesso e la Cgil per aver impedito la firma del rinnovo dei contratti di 3 milioni di dipendenti pubblici, lasciando in sospeso ben 20 milioni di euro già stanziati e pronti per essere utilizzati, o per aver firmato una decina di contratti privati con paghe orarie di 5 euro lordi, inferiori del 40% ai già miseri 9 euro che lui e la Schlein propongono come «minimo». Proposta, a sua volta, inferiore ai 12,46 euro lordi attualmente in vigore.

Gli attacchi alla premier e la realtà europea

Senza contare che, pur di delegittimare la premier, più crescono gli attestati di stima nei suoi confronti per i risultati ottenuti e per il riconoscimento della centralità dell’Italia nella politica europea (vedi l’accettazione da parte dell’Ue del modello Italia per i migranti e la constatazione che, dopo la telefonata con il Papa, sta tessendo la tela per la riuscita dei negoziati di pace, auspice Leone XIV), più la sinistra – per denigrare lei e il governo – l’accusa di essere isolata in Europa e di fare soltanto propaganda. Con queste premesse, perché gli italiani dovrebbero fidarsi di loro e votare «sì» ai quesiti referendari?

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