Il Rapporto sul Mezzogiorno della Svimez conferma: il Sud cresce più del Centro-Nord

Meloni, per le le civette un nuovo tonfo dal comò. Arrivano i 18,5 miliardi della terza rata Pnrr, entro fine anno i 16,5 della quarta

Allora era vero, non stavo sognando – anche se qualcuno, leggendo l’editoriale della settimana scorsa, lo ha pensato, ha storto il naso e mi ha accusato di eccessivo ottimismo – quando ho scritto che le distanze fra Sud è centro-Nord si stavano accorciando e, vivaddio, a favore del Mezzogiorno.

La Svimez, infatti, nel suo «rapporto annuale», ha confermato che la crescita del Sud nel biennio 21/22 è stata più sostanziosa di quella del Centro-Nord di oltre 1 punto, 10,7% contro il 9,1. Una fase positiva che si riscontra anche sul fronte del lavoro del momento che l’occupazione nel Mezzogiorno (+4,4) è cresciuta più del doppio rispetto al resto d’Italia (+2,1). Per dirla con la concretezza dei numeri, su 464mila nuovi posti creati: 262mila sono nati nell’Italia del tacco e gli altri 202mila fra Centro e Nord.

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Una fase di sviluppo che ancora continua e dovrebbe tenere, secondo Istat e Svimez, per tutto il 2023. A patto, però – e questa è una valutazione del tutto personale, più volte ribadita – che i meridionali continuino ad avere fiducia in se stessi, a credere nel proprio futuro e sappiano cogliere le opportunità offerte da questa ripresa e dal Pnrr. Senza restarsene alla finestra ad aspettare che la manna cada dal cielo sotto forma di «reddito di cittadinanza». La Meloni non ha pietà per le civette italiche e le ha costrette boccheggianti a un nuovo tonfo ai piedi del comò.

Sbloccato – con i complimenti di Gentiloni – l’accordo con l’Ue per la terza rata del Pnrr. A giorni arriveranno 18,5 miliardi, 500 milioni in meno del previsto ma la quarta a fine anno anziché di 16, sarà di 16,5.

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Il salario minimo

Martedì intanto sarà in aula per l’approvazione, l’emendamento della maggioranza per cancellare la proposta delle opposizioni – eccetto Iv – del salario minimo. Conte e M5s, minacciano il ricorso alla piazza e Schlein e Pd di raccogliere le firme per un referendum abrogativo se, come prevedibile, ad avere ragione dovesse essere la maggioranza.

Ebbene, vien da chiedersi, come mai tanta determinazione per approvare, oggi, questo salario minimo – e il disinteresse totale, ieri, per i 3,66milioni di lavoratrici e lavoratori poveri della cui dignità, oggi, dicono di essere preoccupati – e non quando, governando insieme, avrebbero potuto farlo senza alcun problema? E, poi, dov’è scritto che per ridare rispettabilità ai lavoratori sottopagati bisogna toglierla a tutti? E’ lapalissiano, infatti, che nel momento in cui il salario minimo fosse istituito per legge, la contrattazione collettiva non avrebbe più alcuna ragion d’essere.

Alle aziende basterebbe adeguarsi a questo per essere in regola con la legge, seppure quella dello sfruttamento. Perché, piuttosto che insistere lungo una strada impervia che sarebbe l’ennesimo colpo per la dignità del lavoro, non puntare all’allargamento della contrattazione collettiva a tutte le tipologie d’impresa e di addetti. Anche quelli oggi esenti? Tanto più che anche la Commissione europea, intervenendo a proposito del salario minimo, nelle premesse della direttiva 2022, indicò l’Italia come Paese da prendere a esempio perché la «contrattazione collettiva rappresenta il 90% dei contratti di lavoro». Perché non portare quel 90 al 100%? Elly e Giuseppi, non si fidano di Maurizio? Puoi darsi.

Da buoni sinistrati senza idee, i tre non fanno che rincorrersi per «appollaiarsi» prima degli altri 2 su quella poltrona di leader della sinistra che – come l’isola di Bennato – non c’è. Eppure, traballa.

Il pensiero unico

E diciamola tutta: non se né può proprio più di quel pensiero unico che – con idiozie senza capo né coda (vedi il licenziamento di Veronesi «per l’arrivo in ritardo a una prova» o quella del leader verde Bonelli del «reato di negazionismo climatico») – più che unico è diventato stolto, aprendo alla cosiddetta «cancel culture» anche l’Italia. E non solo della storia ma anche di presente e futuro.

Una composita e becera forma di ostracismo per chi non la pensa come loro e non si adegua ai loro desiderata, pensate a Facci cancellato per una frase certo discutibile e a Saviano che continua a imperversare continuando a insultare tutti i ministri, premier e vice compresi. La verità è che – nonostante i reiterati successi elettorali e le presunte «mani della destra sulla Rai» – a Viale Mazzini, continuano a comandare i giallorossi per l’arroganza del passato e il supporto attuale della stampa amica. E insieme, convinti che il peggio debba ancora arrivare, stanno facendo di tutto per impedire che ciò avvenga. Cosa possibile, ma molto improbabile.

Soprattutto se il centrodestra continuerà a mostrare compattezza e porterà a compimento, il programma votato dagli elettori. Senza lasciarsi irretire da certe iniziative di toghe rosse, opposizione e stampa amica. Che intendono solo ripristinare lo «status quo ante» 25 settembre 2022. Tanto più, che Mattarella ha anche controfirmato il ddl di Nordio per la riforma della Giustizia.

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