L’Italia leader d’Europa per i fondi Pnrr destinati alla Cultura

Stop all’ipocrisia della falsa unità. Federalismo macroregionale per dare al Sud l’Unità (vera) e il decentramento necessari al suo sviluppo

Pnrr: l’impegno di Sangiuliano fa dell’Italia il Paese leader d’Europa nella percentuale dei Fondi destinati alla cultura. Stando, infatti, a una ricerca commissionata dall’Associazione Civica, che da oltre 35 anni opera nel mondo della cultura e si propone come laboratorio di progetti per valorizzare il patrimonio culturale, su un totale 6,68 miliardi destinati alla cultura, l’Italia ne ha già messo a disposizione 4,65 ovvero il 70%, contro l’1,19% della Spagna, l’1,45% del Portogallo e il 3,10% della Francia. E, intanto, è in arrivo la terza rata da 19 miliardi dei 191,5miliardi del Next generation Eu.

La Corte di Giustizia Europea dà ragione, seppure a metà, all’Italia. Pur confermando l’assegnazione delle concessioni balneari, per bando pubblico aperto agli operatori d’oltreconfine, fà salve quelle attribuite prima del 2009, mettendo a gara quelle concesse dopo, ma solo se le aree demaniali sono scarse. Sicché da un lato tutela migliaia d’imprese balneari, dall’altra rende indispensabile la mappatura delle spiagge ad opera del Mit, coinvolgendo Agenzia del Demanio e Capitanerie di Porto e incrociando i dati raccolti con i droni e la mappatura amministrativa, realizzata dalle regioni.

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Inoltre, con il ddl «concorrenza», il Cdm ha prorogato di altri 12 anni le odierne concessioni dei parcheggi del commercio ambulante, mentre saranno messi subito a bando, con gara a evidenza pubblica quelli ancora liberi.

La mozione per il 25 aprile

E la destra (per la prima volta in veste di maggioranza di governo) in vista del 25 aprile – per dare valore reale alla voglia di pacificazione, alla «festa della liberazione» e cancellare definitivamente odi e divisioni di un passato seppellito 77 anni fa – ha votato in Parlamento la mozione presentata dall’opposizione.

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Ma Pd e cespuglietti vari (si sono limitati ad un’astensione di facciata) hanno detto «no» a quella del centrodestra. Condannava, si, tutti i totalitarismi, ma non c’era la parolina magica «antifascismo» tanto cara – del resto, in assenza di qualsivoglia progetto di sviluppo per il Paese, è l’unico «vuoto a perdere» che ancora ne giustifica l’esistenza – alla sinistra. Che, per altro, non perde occasione – pur di contrastare il governo Meloni – di contestarne qualsiasi proposta, anche se a beneficio delle famiglie.

Perfino, «udite, udite», l’alleggerimento delle imposte per le coppie con figli. E senza parlare della doppia squallida ed offensiva vignetta contro la sorella della Meloni. Il che per «il Fatto» è una colpa. Purtroppo, la sconfitta elettorale gli ha fatto perdere la testa. Ma lo hanno deciso gli elettori. Per la loro inconsistenza, i guasti prodotti (un solo esempio per tutti: il debito pubblico 2022 più del doppio della media europea, meglio solo alla Grecia) e la mancanza di idee che offrono.

Il senatore Quagliariello, già ministro delle riforme costituzionali con Letta, ha sottolineato che «la nuova classe politica meridionale e meridionalista dovrebbe accettare a viso aperto la sfida di un autonomismo non punitivo per il Mezzogiorno».

Le macroregioni

Giustissimo! Partendo, però, a parere personale, dall’approvazione di una norma costituzionale che cancelli il regionalismo e la disastrosa modifica del titolo V della seconda parte della Costituzione dell’ottobre 2001 ed istituisca un federalismo vero – a base macroregionale, sul modello dei lander tedeschi o dei cantoni svizzeri – suddiviso in 4 o 5 macroregioni omogenee (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud e/o Isole) ognuna di esse dotata di Statuto o Regolamento: Assemblea, Esecutivo, Organi Giurisdizionali e autonome sotto il profilo amministrativo, legislativo, fiscale ed economico, con competenze specifiche su quanto non espressamente attribuito dalla Costituzione – che in tale ottica andrebbe rivisitata ed aggiornata, nella seconda parte: quella relativa all’ordinamento istituzionale – al Governo centrale.

E prevedendo anche l’introduzione del semipresidenzialismo. Il che garantirebbe i due più significativi principi di ogni democrazia: unità e decentramento. La prima conseguente all’elezione diretta del Capo dello Stato che in quanto eletto dai cittadini sarebbe la dimostrazione tangibile dell’unità del Paese; e prevedere in Costituzione, la tutela – così come già avviene in 18 dei 27 Paesi Ue – della lingua italiana; il secondo perché consentirebbe, avvicinando ai residenti il baricentro decisionale, agli enti territoriali periferici di avere in prima persona le opportunità per lavorare, perseguire e realizzare lo sviluppo e la crescita dei territori che si sono affidati alle loro cure. Trasformandosi, così, da spettatori non paganti, in protagonisti del proprio futuro.

Anche perché, quando, per superare le criticità, occorrerebbe un’intesa fra le parti sarebbe più facile mettere d’accordo 4 o 5 marcoregioni piuttosto che venti staterelli presuntuosi, pretenziosi, arroganti, e rissosi, ognuno preoccupato dei propri interessi e sovente indifferenti a quelli dei cittadini.

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