Morta dopo il parto, la famiglia vuole solo giustizia: chiederà la riapertura delle indagini

I consulenti nominati dal giudice hanno affermato che Rosa Andolfi poteva essere salvata

Chiede giustizia la famiglia di Rosa Andolfi, la mamma di 29 anni morta nell’ospedale Villa Betania di Ponticelli, nella zona orientale di Napoli, cinque ore dopo aver dato alla luce il suo secondo figlio, la notte tra il 19 e 20 febbraio 2020. Una morte «archiviata» sulla base di una perizia redatta da quattro consulenti della Procura ma che oggi viene smentita da un secondo collegio peritale, nominato dal Tribunale, per il quale la condotta dei sanitari «ha determinato notevole perdita di chanches di sopravvivenza per la paziente».

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La famiglia, attaverso i loro legali, gli avvocati Amedeo Di Pietro e Alessandro Milo, fa sapere di essere in procinto di chiedere la riapertura delle indagini e di voler denunciare i consulenti della Procura. «Il padre, il compagno e il fratello di Rosa intendono fare luce sul perché due diversi collegi peritali sìano giunti a conclusioni diamentralmente opposte», fanno sapere i due avvocati.

Le indagini sulla tragica notte

Lo scorso agosto, proprio grazie alla perseveranza dei due professionisti, e alle loro indagini difensive, si è scoperto che quella tragica notte in cui Rosa perse la vita, a soli 29 anni, lasciando un bimbo appena nato e un fratellino di 5 anni, in servizio c’era anche un medico rianimatore che era stato escluso dall’albo nel 2015. Rosa, soffriva di una lieve forma della sindrome di Tourette (tic motori e fonatori incostanti). Accusò un malore dopo avere dato alla luce un florido maschietto, una crisi respiratoria, e sarebbe dovuta essere intubata dai sanitari i quali invece preferirono una ventilazione non invasiva.

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«Questa condotta rianimatoria – scrivono i due consulenti nominati dal Tribunale – unitamente alla errata strategia ventilatoria, hanno determinato notevole perdita di chanches di sopravvivenza per la paziente, che non ha potuto usufruire di una strategia terapeutica, e di una condotta ventilatoria, tali da offrire ampi margini di sopravvivenza/guarigione…». Non solo.

A differenza di quanto affermato nella precedente perizia, Rosa è rimasta quattro e non due ore in attesa di essere intubata, mentre era preda della crisi respiratoria poi risultata fatale. Per Di Pietro e Milo sarebbe necessario prevedere ora «una Legge apposita e un risarcimento per danni punitivi il cui accertamento è da rimettere al Giudice civile, come avviene negli Stati Uniti»

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