Covid-19. Vaccino russo Sputnik V, come l’ossessione europea uccide la ricerca

Lo scorso mese di agosto Putin aveva annunciato che le autorità sanitarie russe avevano messo a punto un vaccino contro l’epidemia Covid-19.

Un annuncio che era passato nell’incredulità generale ed aveva suscitato persino commenti al vetriolo diretti proprio al despota dittatore odiato dai Soloni dell’Ue.

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I media più accreditati avevano giudicato quell’annuncio irresponsabile e poco credibile e Putin veniva persino sospettato di tentato infanticidio quando aveva aggiunto di aver già vaccinato persino sua figlia.

Da febbraio è cambiato però lo scenario: le sperimentazioni cliniche effettuate dagli occidentali dovevano confermare le parole dell’odiato Putin ed attestare un’efficacia del vaccino russo pari al 92%, senza la necessità della conservazione a – 80° centigradi, come richiedono gli attuali vaccini in (troppo lenta) distribuzione oggi dai sistemi sanitari degli Stati membri. Il vaccino soprannominato Sputnik V necessita dei banali -18°, rendendone più semplice la conservazione e lo stoccaggio.

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Ora tutti ne vogliono e il despota, sospettato di essere addirittura un novello Barbablù, diventa così un demiurgo.

Studi scientifici più seri avevano riconosciuto tuttavia che già all’epoca dell’annuncio di Putin le sperimentazioni avevano confermato l’efficacia del medicinale ma, evidentemente, in piena propaganda anti russa, erano state sottaciute proprio per non accreditare le dichiarazioni russe e per non portare maggiore credito al presidente della confederazione.

Un grande sberleffo per l’Europa “consociata” che, a conti fatti, restava il solo continente rappresentato nel consiglio permanente di sicurezza dell’Onu a non essere riuscita a mettere a punto un suo vaccino anti Covid.

Putin annuncia: «Abbiamo il vaccino per il Coronavirus»Ma i progressisti del nuovo mondo non tardavano però ad intestarsi una vittoria, “determinante” nell’ambito della lotta alla discriminazione femminile quando riuscivano ad affermare che proprio l’Ue, attraverso numerosi saggi, era riuscita a “femminilizzare” il nome della malattia. Il microscopio elettronico aveva infatti rivelato che il virus, nonostante le apparenze, si sentiva femmina.

La distribuzione ora – più e oltre la paternità (o femminilità?) della scoperta del vaccino – diventa il solo mezzo per combattere il virus la cui diffusione non cessa di aumentare in tutti i Paesi orbeterrarum.

Le élite politiche europee non potevano restare in silenzio e così si sono lanciate nella grande rincorsa delle giustificazioni, stigmatizzando alcuni l’ideologia liberale che asfissia la ricerca, altri denunciando quella fuga dei cervelli che impoverisce il mondo accademico occidentale.

Tutti sulla stessa barca però che si ostina comunque a non invertire la rotta e, peggio, a non sostituire almeno i nocchieri.

Prima nei blocchi di partenza della rincorsa all’utilizzazione del vaccino, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha chiesto di mettere da parte le pur importanti differenze politiche esistenti e di lavorare insieme nell’ambito della pandemia, esclusivamente per motivi umanitari.

La cancelliera ha sottolineato proprio lo scopo umanitario per tentare di arginare la crescente avanzata della Russia sul terreno della ricerca: un messaggio sotto forma di ideologia anti-russa che fa acqua da tutte le parti e di per se, rende caduco l’umanismo tedesco e conferma la sindrome anti-russa dei dirigenti attuali di questa Unione Europea in debito d’ossigeno.

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